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Come annunciare Cristo a chi non è cristiano (F. Olivero)
L'esperienza della diocesi di Torino

Fondazione Migrantes - Servizio Migranti 1/06


Il presente articolo è stralciato dall’ampio “Vademecum per operatori dei Centri di ascolto Migrantes e Caritas”, che ha per titolo: “Immigrazione: guida teorico-pratica per l’ascolto del migrante”.

Il Vademecum fornisce, come si legge nella pienezza, uno strumento utile alle diocesi, ai parroci, agli operatori pastorali e sociali, ai credenti e ai cittandini, perché possano capire meglio il fenomeno migratorio che da 25 anni sta inserendosi nella nostra realtà, naturalmente la realtà del Piemonte, in cui l’autore dell’articolo è Direttore regionale della Migrantes e, in diocesi di Torino, Direttore diocesano.

Una risposta positiva da oltre quarant’anni

E essenziale capire come nel tempo sia nata e cresciuta la risposta ai nuovi cittadini. Gli anni ‘60 e ‘70 vedono la Chiesa di Torino molto attiva sui temi della mondialità, del Terzo Mondo e dei nuovi arrivi tra di noi.

Fin dall’inizio vi sono risposte positive organizzate, sotto la spinta delle encicliche papali “Mater et magistra” (1961), “Pacem in terris” (1963) e “Popolorum progressio” (1967).

Si apre una stagione feconda di riflessioni e iniziative promosse da cristiani torinesi aperti alla realtà di una mondialità sempre più coinvolgente, e in essa si situa la presa di coscienza dei cristiani sulla presenza straniera a Torino, in un primo tempo per la maggior parte studenti universitari maschi e in seguito soprattutto donne alla ricerca di un lavoro.

La prima esperienza organizzata nasce come “Comitato torinese borse di studio per studenti afroasiatici” e, insieme, come “Centro cattolico torinese contro la fame nel mondo” (1962), con una campagna annuale “Quaresima di fraternità” (attiva ancora oggi) per finanziare le iniziative.

Dal 1975 prendono forma risposte di accoglienza maschile (studenti) e femminile (colf), con due sedi separate aperte quotidianamente.

L’apertura del BIT - Bureau International du Travail (1966) dà nuova forza al “Centro genti e culture” e poi al CISCAST (Centro Internazionale Scambi Culturali Accoglienza Stranieri Torino), che diventerà il “Servizio Migranti Caritas” (1990) e poi “Ufficio Pastorale Migranti” (2001), Ufficio Pastorale della Diocesi per le diverse categorie di migranti, sia sul piano dell’evangelizzazione che sul piano della testimonianza della carità a tutti i livelli, cercando di evitare fin dall’inizio ogni forma di assistenzialismo.

A livello parrocchiale decentrato parrocchie, istituti religiosi e associazioni di volontariato aprono centri di ascolto, accoglienza, servizi (sanità, minori, vittime della tratta, donne con bambini, malati...); ben 84 in dieci anni.

Sul piano pastorale

Due coordinamenti orientano e verificano le scelte; il primo riguardante solo gli stranieri (Coordinamento pastorale immigrati), il secondo sia italiani che stranieri (Caritas-Migranti, collegamento pastorale diocesano).

Quali sono state le scelte fatte in questi ultimi 40 anni e soprattutto in questi ultimi 10, in cui sono titolare dell’Ufficio?

Vi sono due priorità:

A)            Assistenza agli immigrati cattolici, su cui sono state fatte alcune scelte: inserimento pastorale nelle comunità italiane (soprattutto parrocchie, movimenti, gruppi) e creazione di comunità etniche o di area culturale-linguistica per il servizio pastorale ai cattolici provenienti da altri Paesi (12 a Torino).

E una proposta ultracentenaria nella Chiesa, sicuramente utile nei primi anni.

B) Dialogo ecumenico coi Cristiani ortodossi, copti ed evangelici. Sono state concesse tre chiese agli ortodossi, utilizzate per due comunità rumene e per la comunità russa, e una ai copti egiziani, etiopi ed eritrei. Con gli Evangelici vi è rispetto e collaborazione sia sul piano pastorale che sociale (carità e giustizia). Vi è poi un “Gruppo di preghiera nigeriano” di cristiani diversi che si ritrovano da 10 anni per un percorso di fede e formazione

Quali scelte con i non cristiani?

Su 120.000 nuovi immigrati in Diocesi, il 50% sono cristiani (di questi metà sono cattolici, il 30% sono ortodossi e il 20% evangelici). I musulmani sono quanti gli ortodossi (20%), le altre Religioni (induisti, confuciani, ebrei) il 30%.

Il nostro impegno di evangelizzazione parte da riferimenti evangelici e dalle encicliche e direttive della Chiesa. Riportiamo quanto già da noi elaborato nel testo della rivista della CEI: “Nella Chiesa nessuno è straniero”.

Segnaliamo che la Chiesa torinese ha fatto nascere da circa 10 anni il “Centro Peirone per il dialogo con l’Islam”, centro studi che elabora la rivista mensile “Al Hiwar” (“Il Dialogo”).Verso gli stranieri non cristiani il nostro atteggiamento fondamentale è quello della promozione umana e della testimonianza della carità, che hanno già valore di evangelizzazione e predispongono all’annuncio diretto del Vangelo, che deve rappresentare una prospettiva presente nel rapporto delle nostre comunità con stranieri di altre fedi.

Il cristiano giudica negativamente e si dispiace se i non cristiani a causa delle migrazioni perdono il genuino senso religioso e si lasciano attrarre dal fascino del consumismo materialista dell’occidente. Perciò il migrante di fede diversa dalla nostra va sostenuto nel conservare la dimensione trascendente della vita, invitando lo a praticare la sua fede religiosa. e a viverne gli autentici valori anche nel Paese di immigrazione. In questo spirito si giungerà alla conoscenza, alla stima e all’accettazione reciproca, e lo straniero verrà messo in grado di comprendere qualcosa di più sul cristianesimo, sulla sua non identificazione con l’occidente o con una determinata cultura.

Resta scontato che emerge con particolare forza ed urgenza il problema del rapporto con gli immigrati aderenti all’Islam.

Da quanto precede, risultano alcune responsabilità pratiche che sono alla base delle nostre scelte. La prima è di non trascurare affatto il fenomeno dell’Islam, lo esige anche solo il suo aspetto quantitativo, essendo l’Islam la seconda religione in Italia (alla pari con gli ortodossi), professata da circa un quarto degli immigrati nel nostro paese.

E necessario comprendere e rispettare, come autentico valore, la fedeltà ragionevole alle proprie tradizioni.

Il cristiano è consapevole e deve testimoniare che il rispetto, l’accoglienza, la solidarietà e quindi il rifiuto di ogni discriminazione verso gli immigrati, non sono solo un’esigenza umana, ma anche e soprattutto un’esigenza che scaturisce dalla fede in Gesù Cristo e dall’adesione al Vangelo della carità.

E compito di tutti, e dei credenti per primi, aiutare gli immigrati ad inserirsi armonicamente nel tessuto sociale e culturale della nazione che li ospita, e ad accettarne civilmente le leggi e gli usi fondamentali.

Con la loro testimonianza di vita più autentica, sobria e spirituale i cristiani devono apertamente condannare alcuni disvalori diffusi nei paesi dell’occidente, come il materialismo  e il consumismo,  il relativismo morale e l’ ”indifferentismo” religioso, il rifiuto della fede: sono ostacoli e tentazioni forti anche per gli immigrati, che si superano solo col dialogo rispettoso.

Alcune riflessioni dettate dalla esperienza

Le comunità cristiane, per evitare inutili fraintendimenti e confusioni pericolose, non devono mettere a disposizione, per incontri di fedi religiosi non cristiane, chiese, cappelle e locali riservati al culto cattolico, come pure locali destinati ad attività parrocchiali. Così pure, prima di promuovere iniziative di cultura religiosa o incontri di preghiera con i non cristiani, occorrerà ponderare accuratamente il significato e garantire lo stile di un rapporto interreligioso corretto, seguendo le disposizioni della Chiesa locale.

I pastori d’anime curano con particolare attenzione la preparazione al matrimonio misto.

Il messaggio guida potrebbe essere: “Nella Chiesa nessuno è straniero e la Chiesa non è straniera a nessuno” (Giovanni Paolo II).

La presenza di singoli e di gruppi stranieri è l’occasione provvidenziale (il kairòs in senso biblico) per riflettere sulla nostra stessa fede, vissuta a confronto con religioni e culture diverse, con le quali attraverso le migrazioni si è venuti a più diretto contatto. Questo contatto può portare a una revisione e purificazione anche dei nostri comportamenti religiosi.

Benché siamo convinti della nostra fede e approfittiamo di tutte le occasioni per approfondirla e proporla, è doveroso rispettare la convinzione di professare la fede “vera” da parte del fratello di altra religione, aiutandolo a vivere la sua fede, senza lasciarla.

L’aspetto spirituale di qualsiasi cultura con le sue autentiche espressioni religiose è un elemento positivo per i singoli e la società, fa parte di quell’impegno a proporre i valori fondamentali che il cristiano dovrebbe avere particolare intuito per cogliere e valorizzare. Un rapporto ancora più stretto di stima, di scambio di valori e di esperienze va instaurato con le altre Chiese e le comunità ecclesiali che condividono con noi un preziosissimo patrimonio che scaturisce dalla rivelazione divina.

Ogni confessione religiosa ha bisogno di spazio fisico per esprimersi. Non spetta alla comunità cristiana procurare questi spazi per gli aderenti ad altre religioni, essa tuttavia può acconsentire e adoperarsi perché la società civile venga incontro a queste legittime esigenze.

Infine il dialogo con i referenti delle comunità è essenziale per mantenere la stima reciproca.

Quanto detto per l’Islam vale per le altre fedi non cristiane (Buddismo, Scintoismo, Confucianesimo e Religioni naturali): il dialogo è l’unica strada possibile per valorizzare le persone credenti immigrate.

Aiutarli a mantenere la fede è l’essenziale, sarà poi Dio (e non noi) a cambiare e convertire il loro cuore, se incontreranno credenti cristiani credibili e rispettosi.