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"Gesù salì su una di quelle barche" (L. Manzoni)
Francesca Saverio Cabrini sulla rotta degli emigrati

Fondazione Migrantes - Servizio Migranti 6/05


Francesca Saverio Cabrini sulla rotta degli emigranti

 

“Gesù salì su una di quelle barche”

 

di Loredana Manzoni

 

Non c’è notizia più quotidiana degli sbarchi di clandestini sulle coste meridionali dell’Italia, le immagini che ci colpiscono delle centinaia di uomini, alcune donne e spesso bambini che vengono riversati, in ore impossibili della notte, su spiagge deserte, in una deprimente coreografia di stracci abbandonati, avanzi di cibo e bottigliette di acqua vuote.

La barca o i barconi, per gli albanesi e filippini prima, per i nord africani ora, sono il simbolo e il miraggio della nuova vita, finalmente del benessere da raggiungere e in fondo della propria dignità umana rispettata, così come lo erano le terze classi dei vapori e delle navi che portavano i nostri connazionali sulle sponde delle Americhe.

Ma sappiamo bene quante illusioni infrante, quante tragedie avvenute o appena evitate, quanti sacrifici e sofferenze, quante separazioni e umiliazioni segnano la vita di milioni di emigranti e rifugiati in tutto il mondo.

“Se il Cuor SS. di Gesù mi concedesse i mezzi per costruire un bastimento, sul mare allora fonderei la “casa Cristoforo” (Portatrice di Cristo) e girerei i mari con una Comunità, piccola o grande, per andare a portare il nome di Cristo Gesù a tutti i popoli che ancora non lo conoscono o l’hanno dimenticato” (Viaggi). Questo che parrebbe un sogno o una sorta di profezia anticipata, sono le parole e l’esperienza di Santa Francesca Cabrini, Patrona degli emigranti, scritte nel suo secondo viaggio nel 1890 a bordo della nave Normandia, imbarcata a Le Havre e diretta con sette suore a New York, sicuramente fattasi compagna di numerosi italiani ugualmente imbarcati, ugualmente desiderosi di nuove prospettive americane.

La famiglia cabriniana

Le Missionarie del Sacro Cuore di Gesù, l’Istituto fondato da Madre Cabrini il 14 novembre 1880, celebra quest’anno 125 anni di vita, lo spirito della Santa ha sospinto, in questo scorcio di tempo, le sue missionarie, quali fragili barchette di carta dei suoi sogni giovanili, sulle rotte delle varie migrazioni e mobilità umana dei vari continenti.

Non solo per mare, ma anche per terra le Missionarie sono state presenti nelle migrazioni italiane verso gli Stati Uniti, Argentina e Brasile, Australia e Canada, in Svizzera, Germania e Lussemburgo, nelle migrazioni interne africane del Mozambico e Swaziland, ma come vuole il Carisma Cabriniano siamo “con Lui accanto, ai fratelli per far nascere l’uomo nuovo nell’amore del Cristo Redentore, cooperando a riparare la rottura fra l’uomo e Dio con l’annunzio del Vangelo nella catechesi, nell’educazione, nell’assistenza sanitaria e sociale e in altre attività rispondenti alle esigenze della Chiesa” (Costituzioni 6).

L’internazionalità dell’Istituto, la presenza al suo interno di varie culture, abilita noi Missionarie ad aprirci alle differenze, all’accoglienza delle diversità, ci addestra all’inserimento anche in contesti poveri ed emarginati, spesso in terre di frontiera o in situazioni difficili: in Cina negli anni ‘30, nel Libano degli anni ‘70, in Nicaragua durante la Rivoluzione Sandinista degli anni ‘80, a partire dagli anni ‘90 in Siberia e per missioni sporadiche in Albania, in Etiopia da qualche anno.

“Se bene poi riflettiamo, per noi non ci sono distanze; le Missionarie del Cuore SS. di Gesù sono mondiali e devono partecipare dell’ampiezza di questo Cuore Divino che tutto abbraccia, tutto comprende, tutto anima, tutto unisce e concentra vicino a sé. E esso appunto che ci anima in questi momentanei distacchi, ci fa forti della sua stessa fortezza, che ci comunica ogni grazia… Amiamolo con tutto il cuore, serviamolo fedelmente, facciamolo conoscere a tutti… Scioglietevi e mettete le ali…” (Viaggi).

Nei contesti storici dove l’emigrazione italiana è stata forte a partire dall’800, la nostra presenza si è adattata e modificata, siamo presenti attualmente in alcune zone della città di New York e in altre grandi città americane, dando sostegno soprattutto alla nuova emigrazione ispanica: portoricani, messicani, ecc. In Italia, con le Capoverdiane a Roma e nel centro di prima accoglienza Caritas di Ragusa, approdo di molti immigrati, rifugiati e clandestini prevalentemente africani.

“Le dirai che ho mai saputo che il nostro Istituto era fatto per gli italiani soltanto e che solo da una figlia poco attaccata all’Istituto mi posso sentir dire questo. Intanto però né nel Sud America, né nel Brasile, né nell’Ovest dell’America del Nord e in vari altri siti neppur vediamo un Italiano. A Los Angeles per esempio non ci occupiamo che di Messicani” (Lett. 1683). Questo scriveva già Madre Cabrini nel 1909, conscia della mobilità e della globalità del fenomeno migratorio.

Ansia pastorale

Nel gennaio del 2000 più di 22,3 milioni di persone venivano valutate dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati rifugiati all’estero, rifugiati di recente rimpatrio, rifugiati interni o richiedenti asilo. Circa metà dei migranti di tutto il mondo sono donne, il che ha dato luogo ad una “femminilizzazione della migrazione”. Esse sono particolarmente esposte a discriminazioni, violenze fisiche e abusi da parte di datori di lavoro o membri della famiglia dove prendono servizio, altre sono spinte per sopravvivere alla prostituzione o attività illecite.

Molte nazioni stanno varando leggi restrittive sull’emigrazione per combattere l’illegalità del traffico di esseri umani. Su scala mondiale, ogni anno tra i 700.000 e i due milioni di donne e bambini vengono deportati illegalmente in altre nazioni a fine di sfruttamento. I trafficanti forniscono i vari servizi, trasporto, documenti e qualche volta anche il lavoro nei Paesi d’ingresso, facendo però guadagnare vari miliardi di dollari l’anno al crimine organizzato (Annuario Worldwach Institute 2001).

Davanti a questi avvenimenti dolorosi, come non risentire il cuore sollecito e compassionevole della Madre Cabrini che, quasi al termine del suo grande impegno e della sua intera vita spesa per loro, con un tono accorato, coglie nel 1909 le analogie di questo fenomeno:

“Mentre, seduta sul comodo carrozzone della Ferrovia Santa Fè che doveva trasportarmi a Los Angeles, il mio sguardo spaziava su quelle immense pianure, popolate intorno a Denver dai casolari dei nostri agricoltori italiani, e più in là, deserte, con immensi tratti vergini ancora, il mio pensiero correva ai nostri emigrati che sì numerose falangi sbarcano annualmente sulle rive dell’Atlantico, affollando sempre più le già popolose città dell’Est, e ivi incontrano stenti molti e poco profitto, mentre qui all’Ovest e nel Sud vi è luogo per milioni e milioni ancora; e il suolo fertilissimo offrirebbe occupazione più geniale alle loro abitudini, campo di sviluppare la loro attività e le loro cognizioni agrarie, coronando i loro sforzi e fatiche con copiosi frutti”.

“Ma questa fiumana di popolazione ha bisogno che il suo corso sia intelligentemente diretto. So che il Commissariato dell’Emigrazione sta occupandosi di questo problema, il quale è tanto importante per il benessere dei nostri emigrati negli Stati Uniti.

La soluzione tuttavia presenta molte difficoltà, non solo per le quasi quattromila miglia che separano l’Atlantico dal Pacifico, ma specialmente per trovare tante persone di cuore che se ne occupino e non facciano una speculazione dei sacri interessi del povero.

Poveri emigrati! Sfruttati tante volte da coloro che si atteggiano a loro protettori, e ingannati tanto più, quanto meglio questi sanno colorire i loro privati interessi col manto della carità e dell’amor patrio!

Li vedevo nel mio viaggio questi cari nostri connazionali, intenti a costruire ferrovie nelle più intricate gole di monti, lontani miglia a miglia dall’abitato, quindi per anni separati dalle loro famiglie; lontani dalla Chiesa, privi delle sante gioie che nelle nostre campagne il povero contadino ha almeno la domenica, quando, deposta la zappa, ne’ suoi abiti da festa, dopo aver consacrata la mattina al divino servizio e sentito la parola del Sacerdote che gli ricorda la nobiltà della sua origine e de’ suoi destini, il valore del lavoro consacrato a Dio, ha un giorno da dedicare alla famiglia e ad onesti divertimenti, e può la dimane riprendere il lavoro coll’animo rinvigorito.

Qui al lavoratore italiano sono riservati i lavori più pesanti; pochi v’hanno che con occhio di simpatia si curino di lui, e ricordino che anch’egli ha cuore e mente, i quali vogliono la lor parte, e non lo riguardino piuttosto come una macchina ingegnosa nel compiere il proprio dovere. E vero che anche qui l’Italiano sa farsi stimare perché sobrio, onesto, fedele, operoso, ma di quante pure gioie si priva colui che abbandona la nostra patria per venire in queste terre forestiere, senza chi lo guidi sulla strada del vero benessere, il quale consiste solamente in raggranellare un gruzzolo che tante volte per infortuni sopraggiunti nemmen si gode! Quanto varrebbe meglio per lui il suo campiello nel paese natio, e quanto grande opera sociale e filantropica farebbe chi sapesse mettere a profitto del nostro bel paese quelle braccia che sciupano la loro attività a pro di un paese straniero!

Non voglio negare che vi siano dei vantaggi in questi terreni immensi, vergini, fertilissimi per il nostro agricoltore: essi certamente offrono all’emigrante lavoro ed agiatezza, ma faccio voti che sorgano anime veramente generose che si prendano a petto gl’interessi del povero e con coscienza lo indirizzino bene quando approda a queste spiagge.

Vi assicuro intanto che mi è di sommo conforto il constatare nel mio giro delle nostre missioni il bene che si fa dalle nostre istituzioni a favore degli emigrati.

Quello che per la nostra condizione di donne non ci è lecito fare su ampia scala, aiutando a risolvere importanti problemi sociali, nella nostra piccola sfera si fa in ogni Stato, in ogni città dove sono aperte le nostre case.

In esse si ricoverano gli orfani, gli ammalati, i poveri: si istruiscono migliaia di fanciulli non solo, ma immenso è il bene che si fa mediante il contatto col popolo che tali istituzioni di carità agevolano alle Suore della Colonia.

Le relazioni fra il popolo e le Suore sono cordialissime: le chiamano Madri e Sorelle, ed essi sentono che tali parole non sono vuote di senso, perché sanno che ai titoli corrispondono cuori veramente materni, che palpitano all’unisono con loro, e che deposto ogni pensiero di sé, fanno propri i loro interessi, le loro pene, le loro gioie. Tutto questo però non è merito nostro, ma frutto della carità di Cristo e della prodigiosa fecondità della SS. nostra Religione, vera antica dei popoli, face che li guida nelle tenebre, casa di rifugio, torre di fortezza, porto di salute” (v. pag. 530–532).

Questa lunga pagina scritta da Madre Cabrini, ben condensa ed esprime, quale Patrona degli Emigranti il suo acuto pensiero, la sua osservazione accurata, il suo inserimento nelle problematiche e nel tessuto sociale, senza teorizzazioni sterili, sapendo bene dalla sua vita quale concrete risposte a questi problemi Ella abbia saputo dare.

Il servizio continua

Sul suo modello le Missionarie sono state Madri e Sorelle, perché Santa Francesca Cabrini ha saputo con rigore coltivare nelle sue figlie l’adesione di fede radicale nel Cuore di Cristo unitamente al coraggio nell’intraprendere sempre vie nuove nell’evangelizzazione, la valorizzazione delle proprie capacità al servizio della missione, senza spegnere in esse le doti femminili di cuore e di mente.

In questo anno celebrativo della Fondazione e in questi primi anni del nuovo millennio, vorremmo continuare ad ottenere da Madre Cabrini la sua intraprendenza concreta a favore di tanti fratelli e sorelle itineranti, il suo coraggio espresso in opere, come ci ha esortato Giovanni Paolo II nel suo Messaggio all’Istituto nel 2002 in occasione del Capitolo Generale: “Gli odierni complessi flussi migratori, che in parte hanno mutato le direzioni di un tempo, vi hanno spinto ad incarnare con creatività e generosità lo spirito di Madre Cabrini nelle inedite e moderne situazioni dei migranti. Avete così accolto nelle vostre case le famiglie degli emigranti, ed inserito nelle scuole i loro bambini. Vi siete rese attivamente presenti in numerosi centri di accoglienza, dove spesso in storie e volti di oggi sembrano lì tornare i problemi e le necessità dei tempi della Santa Fondatrice: l’ottenimento del permesso di residenza, l’insegnamento della lingua, l’inserimento nella società, l’aiuto ai clandestini nei centri di detenzione.

Questo fervore apostolico, aperto ad una cooperazione sempre più vasta con i laici, chiede a ciascuna di voi, Missionarie del S. Cuore, una salda consapevolezza della specifica vocazione dell’Istituto ed un costante sforzo per la tutela e la promozione di ogni essere umano. Possa ciascuna di voi ripetere spesso, durante la propria esistenza, queste parole dell’Apostolo, tanto cara alle Santa Fondatrice: “Tutto posso in Colui che mi dà la forza”.

 

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SANTA FRANCESCA SAVERIO CABRINI, comunemente conosciuta come Madre Cabrini, è una Santa italiana, nazionalizzata americana nel 1909.

Nacque a Sant’Angelo Lodigiano (LO) il 15 Luglio 1850, da una modesta famiglia di agricoltori.

Maturò la sua vocazione religiosa mentre assolveva il compito di maestra a Vidardo e poi, durante l’incarico di gestire una casa per orfane a Codogno.

Trascorsi sei anni, finalmente libera dalle responsabilità della Casa della Provvidenza, fondò nel 1880, l’Istituto delle Missionarie del Sacro Cuore di Gesù, a Codogno (LO).

Per circostanze storiche e per volontà del Papa Leone XIII, il suo desiderio missionario di andare in Cina, venne orientato agli Stati Uniti e all’America del Sud, dove milioni di italiani espatriavano in cerca di lavoro e di migliori condizioni di vita.

Madre Cabrini, divenne così custode, protettrice e Madre di migliaia di emigrati.

Per loro aprì scuole, orfanotrofi, educandati e ospedali, contribuendo a far integrare i nostri connazionali nelle nuove realtà sociali americane.

Viaggiò continuamente, attraversando l’Atlantico numerose volte, valicando a cavallo la Cordigliera delle Ande e percorrendo in treno, in carrozza e anche a piedi, le terre del Centro America, del Brasile, dell’Argentina e di molti Stati del Nord America e dell’Europa.

Dovunque, volle che l’Amore del Cuore di Gesù fosse conosciuto e amato, attraverso la preghiera, le opere, l’esempio delle sue Missionarie, la solidarietà, la difesa della vita e della dignità della persona umana.

Morì a Chicago il 22 dicembre 1917. Venne Beatificata il 13 novembre 1938 e dichiarata Santa il 7 Luglio 1946. Nel 1950 venne proclamata da Pio XII “Patrona Universale degli Emigranti” e definita da Giovanni Paolo II “Missionaria della Nuova Evangelizzazione”.