(12 giugno 2015) - I cristiani non possono andare in chiesa perché i terroristi mettono le bombe. Nel mio paese non hai alternative: o fuggi o muori. Patrick (nome fantasia) è stato costretto a fuggire dalla propria terra, la Nigeria, messa a ferro e fuoco dagli estremisti dellIsis, unorda barbara che sta mietendo vittime a migliaia, seminando terrore in porzioni sempre più estese dellAfrica. I cristiani che vivono in questi territori sono martiri come lo furono i primi cristiani, testimoniando anche a costo della vita la propria appartenenza a Cristo. Anche i genitori di Patrick non hanno avuto alternative: avrebbero potuto rinnegare la propria fede, invece hanno scelto di lasciare la propria casa, messa in pericolo dai battaglioni della morte. La fuga di Patrick lo ha portato più lontano rispetto ai propri cari, il padre gestore di un hotel distrutto più volte dai fondamentalisti islamici, la madre di professione insegnante.
Già alletà di quindici anni i genitori sono costretti a ritirarlo dalla scuola, a causa dei frequenti attentati a danno dei centri frequentati dai cristiani. Poi la decisione di fare allontanare il figlio, affidandolo ad un conoscente, affinché lo porti lontano, al riparo dalle persecuzioni subite nel proprio paese. Una fiducia mal riposta, visto che, giunti in Libia, lamico di famiglia abbandonerà ben presto il giovane in una sorta di prigione, costringendolo a conquistarsi la libertà al caro prezzo dei lavori forzati. Riuscito a liberarsi, anche in Libia deve sfuggire a quanti cercano di ucciderlo perché cristiano. Dopo avere vagabondato a lungo in cerca di un riparo, finalmente incontra alcuni connazionali che lo aiutano a imbarcarsi.
Quello in mare - ricorda - è stato un viaggio davvero duro. In alcuni momenti ho avuto la sensazione di essere vicino alla morte, ma poi, ripensando al fatto che rimanendo in Libia sarei morto di sicuro, mi sono fatto coraggio. Alla fine, dopo un giorno di navigazione, sono arrivato a Lampedusa. Nella più grande delle isole Pelagie le speranze del giovane nigeriano iniziano a prendere forma. Allinterno del Cpsa dellisola incontra George (nome di fantasia), coetaneo e anchegli nigeriano. Lamicizia tra i due ragazzi continua, poi, allinterno del Centro per minori stranieri non accompagnati che da più di un mese li ospita, e si rafforza attraverso la musica. Entrambi, infatti, fanno parte del coro polifonico creato dallUfficio Migrantes di Messina e, in questa veste, sono tornati recentemente sullisola. Il viaggio lampedusano è stato accompagnato da un miscuglio di emozioni e di contrapposte sensazioni. La gratitudine per essere approdato sano e salvo in Italia si è mischiata con la tristezza per quanti non ce lhanno fatta a raggiungere la meta agognata. La musica, per fortuna, fa svanire i pensieri tristi e la nostalgia di casa: Ringrazio il Signore per avermi fatto conoscere i miei compagni di coro e per consentirmi di continuare a servirlo attraverso il canto, dice il ragazzo, ricordando gli studi iniziati in seminario quando la violenza non aveva ancora fatto irruzione nella sua vita. So - aggiunge - che la strada è ancora tutta in salita, ma penso che quando in una persona vengono riconosciuti la voglia di fare, il talento e le qualità, tutte le barriere cadono. Condividere qualcosa, che sia suonare, cantare o ballare, aiuta ad abbattere ogni pregiudizio. Il coro Migrantes è un bellissimo esempio di integrazione di voci e culture, oltreché di amicizia e di rispetto reciproco. Basta notare, del resto, linterprete deccezione che accompagna Patrick anche in questa conversazione: Mario, un cantore originario delle Filippine, insediatosi nella città dello Stretto ormai più di ventanni fa e ora assistente linguistico per il giovane amico. Con laiuto di Dio e il sostegno dei suoi nuovi amici nessuna strada è preclusa a questo giovane sorridente e ambizioso: Mi piace studiare e - confessa - vorrei diventare un bravo medico, un neurologo per la precisione. Sono convinto che in Italia riuscirò a realizzare il mio sogno.
(Luca Insalaco - Lampedusa)