(23 settembre 2014) - Un unico popolo di lingue e colori diversi: è quello che ogni domenica mattina si riunisce nella chiesa di Santa Maria dei Miracoli, a Palermo, per partecipare alla messa. Qui nessuno è straniero, il desiderio di raccogliersi in preghiera unisce mani e canti, davanti ad un Dio che non opera distinzioni tra i suoi figli. Asiatici, arabi, sub-sahariani, italiani…la partecipazione alla celebrazione eucaristica mette in risalto tutta la bellezza e la ricchezza di una società multietnica. In questa chiesetta rinascimentale, che sorge in piazza Marina, si annullano antiche dispute e ataviche ostilità, come quelle che hanno diviso cingalesi e tamil, qui finalmente uniti nella preghiera come fratelli nella fede. Lanimatore di questo incontro interculturale di fede è Padre Sergio Natoli, assistente ecclesiastico dellUfficio pastorale per le Migrazioni dellArcidiocesi di Palermo e rettore della Chiesa. «Qui - spiega - facciamo esperienza di unità delle famiglie di Dio, attraverso le loro diversità. Il Vangelo non si identifica con una cultura, occidentale oppure palermitana, ma entra in tutte le culture e le rinnova. La nostra unica radice è Gesù, ma i rami sono diversi».
Quando nel 2008 lArcivescovo di Palermo, Cardinale Paolo Romeo, gli affidò questa chiesa per svolgervi le attività pastorali a favore dei migranti, Padre Natoli non era certo nuovo allincontro con culture diverse. Con la Congregazione dei Missionari Oblati di Maria Immacolata, di cui fa parte, aveva girato il mondo, dedicando diciassette anni della propria vita alla plantatio ecclesiae, ovvero levangelizzazione e limpianto della Chiesa nei territori ancora non cristiani: Le attività di promozione umana portate avanti mi hanno consentito di conoscere i bisogni delle genti del Sud del Mondo ricorda. Trasferitosi a Palermo, la sua missione non è cambiata. Prima, assieme ai suoi confratelli, ha inaugurato il servizio pastorale per i migranti nel popoloso quartiere di Ballarò; poi, è arrivata lesperienza in piazza Marina. «In questo modo - sottolinea - la Chiesa si prende cura di una fetta dei propri fedeli, salvaguardando allo stesso tempo le identità etniche e lidentità della Chiesa in cui queste persone vivono. Per farlo, occorre adottare una dinamica ascendente, come faceva Gesù: raccogliere la vita di ognuno e illuminarla con la vita di Cristo».
Tutto allinterno di questa chiesetta rimanda alla missionarietà della Chiesa. Chi varca per la prima volta il portone del tempio viene subito colpito dalla ricchezza dei simboli, fortemente connotati nel senso dellaccoglienza e dellabbraccio di tutti i popoli, sotto il manto di Maria e sulla barca della Chiesa. «Gesù - dice Padre Natoli - è venuto come missionario del Padre, allo stesso modo il cristiano non può restare fermo. Il simbolismo è un veicolo per indurre luomo alla riflessione». Laltare è proprio una barca, simbolo della Chiesa che naviga tra i flutti della storia, ma anche veicolo di salvezza per quanti arrivano dallAfrica, in fuga da guerre e persecuzioni. «È lAfrica la terra più crocifissa» rimarca il rettore della chiesa. Ecco perché il crocifisso che sormonta laltare rappresenta un Cristo africano.
Nessuno tra i fedeli che partecipa alla messa si sente escluso. Per consentire loro di comprendere e partecipare al meglio alla celebrazione, il rito è officiato in quattro lingue (italiano, inglese, francese e spagnolo), trascritte su un libretto stampato dalla rettoria. Anche i bambini trovano posto: per loro è stato pensato uno spazio di fianco allaltare, dove possono colorare e fare amicizia, sotto lo sguardo vigile di alcune giovani volontarie. I loro disegni, poi, vengono presentati allassemblea prima della benedizione finale. I bambini non sono dei cagnolini da tenere al guinzaglio - puntualizza il sacerdote - in questo modo riescono a partecipare alla messa, diventandone protagonisti nella parte finale.
Terminata la messa, si va in pace, si ripone il libretto liturgico, ma non la via indicata dalla pubblicazione: Camminiamo lungo le strade del futuro per rendere il pianeta la casa di tutti i popoli. (Luca Insalaco - Palermo)