(17 aprile 2013) - «Essere una lampedusana ha il suo peso» potrebbe legittimamente affermare qualsiasi ragazza viva su questo piccolo scoglio in mezzo al Mediterraneo. Io, però, sono dellavviso opposto: essere lampedusana è un privilegio! Sono emigrata nellarcipelago delle Pelagie dieci anni fa, da una grande città italiana, Bari, perché mio padre, maresciallo dellaereonautica, vi è stato trasferito per ragioni di lavoro. Ho vissuto gli anni più belli del mia infanzia in questa splendida e spensierata Isola del Mediterraneo, che prometteva mare, sole e tanta felicità. Crescendo, però, ho capito cosa significhi vivere due realtà molto diverse: la vita di unisola non è certo quella di una città, eppure ho imparato ad apprezzarne la grande serenità e tranquillità, a volte al limite del noioso, e soprattutto la grande umanità di coloro che la abitano. Nel 2008, per la prima volta, sono stata spettatrice diretta degli sbarchi dei fratelli africani sulle coste lampedusane. Ne ho visti arrivare tanti a bordo di malconce imbarcazioni in legno. Nei loro occhi ho scrutato lo spettro della fame e della povertà, ma anche il forte desiderio di cambiamento. Quella stessa voglia che ricordo aver percepito nella mia famiglia il giorno in cui ci trasferimmo a Lampedusa, accompagnata però anche dallincertezza sulla possibilità di costruire altrove la propria vita. Da lampedusana ho avuto modo di conoscere le grandi difficoltà vissute da questa comunità nel periodo della Primavera Araba, nellinverno del 2011. Una fase caratterizzata, purtroppo, da forti momenti di tensione, durante i quali, pur se per ragioni diverse, migranti e lampedusani si sono trovati fianco a fianco per protestare a causa delle condizioni di abbandono in cui lIsola si è ritrovata proprio quando avrebbe avuto bisogno di maggiore supporto. Un bisogno che li ha uniti e li ha resi capaci di reciproci gesti di comprensione, anche solo attraverso uno sguardo. Ho avuto la fortuna di conoscere un ragazzo di origini etiopi, che in tante occasioni ci ha raccontato le motivazioni che lo hanno portato a fuggire dalla sua terra: il desiderio di non vedere più le violenze e le crudeltà delle guerre e la voglia di avere una vita migliore lo hanno convinto a tentare il viaggio della speranza, che lo ha portato fino a Lampedusa. Sono momenti a cui ripenso con nostalgia, ma al tempo stesso sono contenta per quel ragazzo che ha avuto il coraggio di spiccare il volo e conquistare la felicità anche lontano dallarcipelago delle Pelagie. Lesperienza di accoglienza vissuta dalla mia famiglia è simile a quella provata da tante altre famiglie lampedusane, capaci, con profondo spirito di umanità, di aprire le porte delle loro case e dei loro cuori ai fratelli africani, facendosi coinvolgere dai loro sogni. Sono tante le storie che noi isolani abbiamo da raccontare: storie di guerra, di fame, di dolore, ma al tempo stesso storie di speranza e di futuro. Ho sperimentato in prima persona il grande spirito di accoglienza della gente lampedusana, ed è proprio quello spirito, che oggi sento parte di me, a rendermi orgogliosa di essere diventata una LAMPEDUSANA DOC! (Simona Bellanova) (Foto articolo)