Questi è il figlio mio, l’amato: ascoltatelo - Ufficio liturgico nazionale
14 maggio
V domenica di Pasqua
Parola di Dio
At 6,1-7 Scelsero sette uomini pieni di Spirito Santo.
Sal 32 Il tuo amore, Signore, sia su di noi: in te speriamo; oppure Alleluia, alleluia, alleluia.
1Pt 2,4-9 Voi stirpe eletta, sacerdozio regale.
Canto al Vangelo (Gv 14,6) Alleluia, alleluia. Io sono la via, la verità, la vita, dice il Signore: nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. Alleluia.
Gv 14,1-12 Io sono la via, la verità e la vita.
 
Chiamati a servire i più poveri
La vita della comunità cristiana nascente non è minacciata solo dalla persecuzione da parte delle autorità giudaiche, ma è attraversata anche da una crisi al suo interno. Un dissenso si manifesta tra i cristiani di lingua ebraica e quelli di lingua greca, e il dono della koinonia sembra essere messo a repentaglio. I giudeo-cristiani di lingua greca lamentano che le loro vedove sono trascurate nel servizio quotidiano (o fondo assistenziale) e ciò va contro la comunione dei beni, che veniva attuata soprattutto a favore di quanti erano più bisognosi all’interno della comunità. La tensione che avrebbe potuto portare a uno strappo si scioglie però grazie all’intervento compatto dei Dodici che esercitano il loro carisma di governo. Essi sono totalmente dediti alla preghiera e al servizio della Parola, priorità che il loro impegno esige, e reputano necessario individuare persone adatte per il servizio alla mensa. Ne vengono selezionate sette, attraverso requisiti specifici quali la buona reputazione, il dono dello Spirito santo e la sapienza. Tra i sette diaconi emergeranno nel Libro degli Atti due figure in particolare: Stefano, il primo martire, e Filippo, missionario itinerante che opera in Samaria ed evangelizza uno straniero. Sui Sette, i Dodici pregano e impongono le mani. Essi vengono così a rappresentare un gruppo storico con un incarico specifico che attesta il processo dinamico del costituirsi della Chiesa nelle sue strutture. La carità cristiana le richiede, perché la koinonia non sia un’idea ma un’esperienza concreta. La presenza di un nuovo incarico non affievolisce la dynamis che attraversa la comunità delle origini, ma la rivitalizza. La cura verso i fratelli più bisognosi, il servizio ai poveri (e le vedove sin dal Primo Testamento rappresentano la categoria dei “più poveri tra i poveri”), non intralcia la corsa della Parola, non la rallenta, anzi diviene strumento che ne favorisce la diffusione, e fermento di crescita della famiglia dei credenti.
 
«Nella casa del Padre mio»
Nel contesto dell’ultima cena sono molte le parole che Gesù rivolge ai suoi discepoli, una sorta di testamento che continua a passare di generazione in generazione, sprigionando scintille di senso per i discepoli di tutti i tempi. La partenza di Gesù turba fortemente i suoi che desiderano seguirlo, o almeno credono di poterlo fare. Gesù spiega che la meta del suo viaggio non è tanto un luogo, ma una persona, il Padre, e un contesto relazionale indicato dall’espressione «casa del Padre mio». La metafora della «casa» e delle «dimore» richiama di certo la struttura del tempio, che presenta diverse stanze interne, e la visione apocalittica del cielo, come dimora divina in cui i giusti trovano rifugio, ma richiama soprattutto l’idea di accoglienza e di intimità familiare più che quella di abitazione. L’uomo che ha dovuto fare i conti con la casa di schiavitù (l’Egitto, in quanto immagine dell’oppressione del peccato) e ne è stato liberato, l’uomo che, dopo tanta erranza, è approdato nella casa del Signore (il tempio), ora può anelare alla casa del Padre (la comunione piena con Dio). Diversamente dai testamenti di tutte le figure bibliche veterotestamentarie che, prima di morire, passano le consegne ai figli o ai successori, nel discorso-testamento di Gesù colui che sta per lasciare i discepoli non si separa definitivamente da loro. Andare dal Padre significa rendersi presente ai suoi discepoli in maniera permanente. Preparare un posto per loro consiste nell’immetterli nell’atmosfera delle relazioni intra-trinitarie, nel cuore della Trinità, e significa rassicurarli circa la definitività della promessa. Anche ai discepoli viene consegnata una meta, perché la vita si comprende solo a partire dalla meta. L’oggi di ognuno ha senso solo se avanza verso un destino. Ora anche per i discepoli questa meta non è un luogo, ma una relazione. Per Gesù i discepoli conoscono la via per raggiungere la sua destinazione. Tommaso però reagisce a questo, dicendo di non conoscere né la destinazione, né tanto meno la via per raggiungerla. Alla sua provocazione Gesù risponde identificandosi alla via imboccando la quale si giunge al Padre: «Io sono la via» (Gv 14,6). Al termine «via», che rimanda al cammino verso la Terra Promessa, ma anche alla Legge e ai Comandamenti, si aggiungono anche altre due realtà con le quali Gesù si identifica: la «verità» e la «vita». In tal modo egli si presenta come unico tramite di accesso al Padre perché conoscere lui equivale a conoscere il Padre.
 
«Mostraci il Padre»
Gesù insiste nel dire che i suoi discepoli hanno conosciuto e veduto il Padre, ma questi faticano a capire le sue parole, e a questo punto l’evangelista Giovanni dà voce all’anelito più profondo che alberga nei cuori dei discepoli e di cui Filippo si fa interprete: «Signore, mostraci il Padre e ci basta» (Gv 14,8). È il grido più intimo, la ricerca più serrata di chi anela alla sua sorgente, alla sua matrice, di chi desidera appartenere a qualcuno che ne possa abbracciare tutta l’esistenza: passato, presente e futuro. È l’anelito più profondo della creatura umana: il desiderio esplicito di una teofania, il voler vedere il volto di Dio come sperimentò Mosè (cf. Es 33,18). Questo volto misterioso nessuno lo ha mai visto, tranne il Figlio suo che vive nel seno del Padre (cf. Gv 1,18) e che può dire ai suoi discepoli: «Chi ha visto me, ha visto il Padre» (Gv 14,9). Questo invito rivolto ai discepoli di ogni tempo spinge fortemente a riconoscere ed accogliere Gesù come l’unico e definitivo rivelatore del Padre, a motivo della loro intima e reciproca relazione che egli spiega così: «io sono nel Padre e il Padre è in me» (Gv 14,11), attraverso un’espressione che porta con sé l’eco della formula biblica dell’alleanza (cf. Ger 31,33; Ez 36,28). Questa pericoresi o mutua inabitazione del Figlio nel Padre e del Padre nel Figlio si manifesta non solo nelle opere compiute da Gesù, ma anche in quelle compiute dai discepoli, deputati a compiere opere «più grandi», non perché più spettacolari, ma perché moltiplicate nello spazio e nel tempo per effetto della nuova creazione inaugurata dal Risorto. Solo seguendo il Maestro sulla via del dono è possibile essere certi dell’abbraccio del Padre.
 
Pietre vive
Per insegnarci a raggiungere la «casa del Padre», Gesù si è fatto casa ospitale per i suoi e ha invitato i suoi a farsi casa per gli altri. Così anche l’apostolo Pietro invita i credenti a lasciarsi impiegare da Dio come pietre vive per la costruzione di una «casa spirituale», costruita su Cristo pietra viva e caratterizzata da un sacerdozio santo e da sacrifici graditi a Dio. Questa pietra «scelta» e «preziosa», che il Padre ha voluto a fondamento di ogni cosa, è stata scartata dai costruttori (cf. Sal 117,22), cioè rigettata dagli uomini, diventando pietra contro cui inciampano quanti non obbediscono alla Parola. Accogliere la Parola invece permette di lasciarsi edificare e consolidare da Dio su Cristo-pietra viva, per divenire la casa dello Spirito, sperimentando in questo spazio mistico lo statuto di «stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione santa» (cf. Es 19,6). Si tratta della comunità dei credenti che vive lo spirito dell’alleanza e che vive un sacerdozio che va oltre i sacrifici, per aprirsi alla lode e a uno stile di vita che rifletta la santità di Dio, liberando nel mondo, mediante l’annuncio, le meraviglie di Colui che ha estratto i credenti dalle tenebre per immetterli nella sua meravigliosa luce.
 


Ultimo aggiornamento di questa pagina: 31-MAR-17
 

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