Sussidio Pasqua 2015 - Ufficio liturgico nazionale
17 maggio
Ascensione del Signore

Liturgia della Parola
Prima lettura At 1,1-11: Fu elevato in alto sotto i loro occhi.         
Salmo 46: Ascende il Signore tra canti di gioia.
Seconda lettura Ef 4,1-13: Raggiungere la misura della pienezza di Cristo.
Canto al Vangelo (Mt 28,19a.20b): Andate e fate discepoli tutti i popoli, dice il Signore. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo.
Vangelo Mc 16,15-20: Il Signore fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio.

Spunti brevi
La comunità nuova che nasce dalla risurrezione è una comunità di testimoni, che si configura a Gesù, che fa tutto ciò che ha fatto lui. Al di là dell’apparenza esteriore, è però determinante l’effettivo permanere nell’amore del Risorto, tendere all’ “uomo perfetto” (Ef 4,13), realizzato pienamente secondo Cristo. Si rende perciò necessaria la purificazione da ogni tentazione di raggiungere un potere mondano, di garantirsi un risultato immediato. La nostra gioia è altrove.
 
La manifestazione esterna: comunità di testimoni
Secondo il mandato ricevuto dal Risorto, i cristiani sono i suoi testimoni. Non annunciano se  stessi, ma Cristo. Non hanno necessariamente un’ideologia propria, un’identità che cerchi di imporsi, nello scontro con altre identità e culture. Però essi cercano di compiere le stesse opere di Gesù: “scacciare i demoni, parlare in lingue nuove, prendere in mano i serpenti, restare indenni dal veleno, guarire i malati” (cf. Mc 16,17-18). Si parla dunque di una lotta contro il maligno e contro ogni forma di male: essa permette ai valori autentici di ogni persona e di ogni cultura di emergere. Si parla di una comunicazione aperta ad ogni lingua: perché ciò che Cristo chiede ai discepoli è annunciare il vangelo in tutte le lingue, non conquistare il mondo, imponendo la propria. Si parla infine della cura ai malati: l’annuncio del vangelo comincia sempre da chi è povero, senza diritti, senza tutela. La testimonianza comporta convinzione e responsabilità, ma nello stesso tempo garantisce un distacco: come chi non possiede un potere e non raggiunge un risultato proprio, ci comportiamo da amministratori, dispensatori della grazia, in apparenza perdendo la vita, in realtà ritrovandola moltiplicata.
 
La ragione profonda: il mandato del Risorto
Nella Chiesa agisce il Risorto. Nella testimonianza dei credenti resta lui all’azione. Chi ha fede supera la barriera dell’opacità, che vede solo azioni umane, eventualmente sospettando di oscure motivazioni nascoste. Saremo comunità nuova solo se restiamo la comunità del Risorto. La lettera agli Efesini lo esprime chiaramente: “Un solo corpo e un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione; un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio e Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, opera per mezzo di tutti ed è presente in tutti” (Ef 4,4-6). Un nucleo incandescente, anche se custodito e in parte nascosto, sta al cuore della vita della Chiesa: è la presenza di Dio, trasmessa dal Risorto, con il dono del suo Spirito. La lettera sente il bisogno di ritornare a questo centro vitale, perché tutti i vari incarichi, ministeri, vocazioni nella Chiesa non diventino fonte di dispersione, ma conducano all’“uomo perfetto”. Se si perde di vista il centro, altre motivazioni sopravvengono, alterando la testimonianza.
 
Il nodo da sciogliere: superare la tentazione del potere e del risultato
La tentazione emerge chiaramente nel brano degli Atti, nella domanda rivolta al Risorto: “È questo il tempo nel quale ricostituirai il regno per Israele?” (Atti 1,6). I discepoli sembrano ancora intrappolati nella mentalità del potere e del risultato. Attendono ancora un regno visibile, secondo aspirazioni nazionalistiche, secondo la loro interpretazione delle profezie e delle promesse. La tentazione è insidiosa proprio perché fondata sulla parola di Dio, sul suo progetto perenne, che non può essere scalzato; Gesù risponde non negando il valore della promessa, ma ricordando ai discepoli la loro posizione. Il regno è del Padre: solo lui conosce “i tempi e i momenti”, i discepoli non sono proprietari del Regno, restano nella posizione di “testimoni” (cf. Atti 1,7-8). Se accettano di spendersi restando nella posizione del servizio, potranno sperimentare la gioia autentica.
 
La gioia da vivere: configurarsi a Cristo
Siamo immersi in una cultura mediatica, pervasiva, che abbatte ogni barriera di spazio e di tempo, che tende ad abolire (forse al ribasso?) ogni distinzione tra una cultura “elevata” e una cultura “popolare”. In essa la realizzazione, la felicità, consiste nell’essere protagonisti, nell’apparire, nell’occupare la scena a tutti i costi. La seconda lettura presenta una visione differente della gioia, che non esclude una realizzazione personale, ma la inserisce nel contesto di tutta la famiglia dei credenti: si tratta di accogliersi “con ogni umiltà, dolcezza e magnanimità, sopportandovi a vicenda nell‘amore, avendo a cuore di conservare l’unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace” (Ef 4,2-3). Primario non è l’apparire, ma il vivere la comunione profonda; primario non è essere protagonisti da soli, ma accogliere la chiamata ricevuta, facendola fruttificare;  primario è conservare la pace, non imporre a tutti i costi la propria presenza. Partendo da ciò che resta prioritario, i credenti, se necessario, potranno anche, in determinate occasioni, salire umilmente sulla scena mediatica. Non per affermare se stessi, ma per rendere testimonianza al Risorto.
 
 


Ultimo aggiornamento di questa pagina: 20-MAR-15
 

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