Sussidio Pasqua 2015 - Ufficio liturgico nazionale
24 maggio
Pentecoste

Liturgia della Parola (vigilia)
Prima lettura Gn 11,1-9: La si chiamò Babele, perché là il Signore confuse la lingua di tutta la terra.
Salmo 32: Su tutti i popoli regna il Signore. Oppure: Salmo 103: Manda il tuo Spirito, Signore, a rinnovare la terra.
Seconda lettura Rm 8,22-27: Lo Spirito intercede con gemiti inesprimibili.
Canto al Vangelo: Vieni, Santo Spirito, riempi i cuori dei tuoi fedeli, e accendi in essi il fuoco del tuo amore.
Vangelo  Gv 7,37-39: Sgorgheranno fiumi di acqua viva.

 
Liturgia della Parola (giorno)
Prima lettura At 2,1-11: Tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare.
Salmo 103: Manda il tuo Spirito, Signore, a rinnovare la terra.
Seconda lettura Gal 5,16-25: Il frutto dello Spirito.
Canto al Vangelo: Vieni, Santo Spirito, riempi i cuori dei tuoi fedeli e accendi in essi il fuoco del tuo amore.
Vangelo Gv 15,26-27; 16,12-15: Lo Spirito di verità vi guiderà a tutta la verità.
 
Spunti brevi
La forza dello Spirito apre la comunità alla comunicazione.
Custodire in noi lo Spirito, non rattristarlo.
Lasciarsi guidare dallo Spirito.
 
La manifestazione esterna: comunità che parla molte lingue
Anche oggi la Chiesa parla molte lingue. In ogni parte del mondo. Ben prima della riforma conciliare, i missionari erano sempre stati attenti alle culture e alle lingue locali, studiandone la grammatica, scrivendone i dizionari, redigendo accurati resoconti. Nell’era della globalizzazione la Chiesa continua ad essere plurale, localizzandosi nelle realtà più differenti, non adeguandosi all’appiattimento di uno stile di vita unico, imposto da ragioni economiche e finanziarie più che da ragioni umane. La Chiesa oggi non ha il predominio dei mezzi di comunicazione; esso appartiene a chi ha il reale controllo dell’economia e della politica; oppure può essere, per un certo tempo, appannaggio da chi grida con violenza le proprie convinzioni, come avviene con un certo tipo di terrorismo. Anche nel racconto della Pentecoste emerge un fraintendimento: “sono ubriachi”; proprio l’obiezione dà poi origine al grande discorso di Pietro, in cui si annuncia con coraggio l’evento di Cristo risorto.
 
In un mondo sempre più globalizzato
In un mondo sempre più coinvolto in frenetici processi di comunicazione, che si diffondono in maniera virale, ad altissima velocità, una comunità cristiana capace di accogliere lo Spirito di comunione può essere un segno prezioso, tale da indirizzare i processi informativi verso esiti buoni. Finora infatti non tutte le potenzialità della tecnologia sono state attuate per il bene delle persone e dei popoli: vediamo la tendenza a trasformare la comunicazione in propaganda, a lasciar prevalere il sensazionalismo, a veicolare slogan istintivi, più che messaggi profondi e responsabili. Vediamo anche che le culture più deboli e minoritarie rischiano di essere sommerse, spazzate via dallo tsunami della globalizzazione. Sembrano prevalere messaggi estremisti, terroristici, che annullano la possibilità di dialogo. Lo Spirito ci aiuta al discernimento degli usi sbagliati dei processi comunicativi; lo Spirito conduce la sua Chiesa ad ascoltare anche chi è debole, anche chi parla sottovoce, a lasciare che ognuno possa esprimersi “nella sua lingua”, senza doversi impoverire adeguandosi alle scarne parole d’ordine della mentalità globale.
 
La ragione profonda: lo Spirito di comunione
Dove la Chiesa realizza la sua forza comunicativa, non è per virtù propria, né per un’abilità personale. Il messaggio della Pentecoste fa oltrepassare la facile adulazione riduttiva dei mezzi di comunicazione che ammirano l’immediatezza del Papa, il coraggio dei preti che si oppongono allo sfruttamento, che trasmettono brevi momenti di indignazione per le comunità cristiane perseguitate. Dove altri vedono solo l’apparenza, noi sappiamo vedere lo Spirito di comunione che agisce e trasforma, che abbatte le barriere, che genera nuove occasioni di pienezza di vita.
 
Il nodo da sciogliere: aprirsi all’azione dello Spirito
Possiamo però chiederci: è davvero lo Spirito che agisce in noi? Oppure: quanto spazio lasciamo alla sua iniziativa? Gesù nel vangelo lo dice chiaramente: “Lo Spirito renderà testimonianza di me” (Gv ). Senza lo Spirito non possiamo parlare di lui. Anche la seconda lettura pone una netta distinzione tra la “carne” e lo “Spirito”: “la carne ha desideri contrari allo Spirito” (Gal 5). Sappiamo che qui la “carne” è una ispirazione di fondo solo umana, egoistica, che prescinde da Dio, che cerca unicamente un proprio interesse. Paolo mette in guardia da comportamenti esteriori che sembrano allineati con la Legge di Dio, ma risultano svuotati di senso: così potrebbe accadere di molte attività pastorali, di molte iniziative che si intraprendono come cristiani e come Chiesa. Sarebbe un pericolo enorme se si alimentasse un compromesso tra un agire esteriore nel nome di Dio, svuotato delle sue motivazioni. Nel testo della prima lettura, tratta dagli Atti degli Apostoli, sembra quasi che, in attesa dello Spirito, i discepoli non possano fare nulla, se non “stare tutti insieme nello stesso luogo”. Un agire più illuminato  potrebbe richiedere anche di fare un passo indietro, qualche iniziativa in meno, pur di discernere e lasciarsi guidare dallo Spirito e non da benintenzionate, ma limitate, aspirazioni personali.
 
La gioia da vivere: il frutto dello Spirito
“Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé” (Gal 5). Paolo invita a gustare il “frutto dello Spirito”. L’azione dello Spirito può essere riconosciuta e gustata anche a partire dai suoi effetti: molto spesso esso ci precede e ci previene, agendo anche al di fuori dei confini della Chiesa. Accanto all’indispensabile preghiera di invocazione dello Spirito, che precede l’azione del singolo credente e della comunità cristiana nei suoi vari livelli, ci dovrà essere una preghiera di riconoscimento dell’azione dello Spirito, che porterà soprattutto a gustare la gioia e la pace che da lui derivano. Ma anche così si richiede un passo indietro: invece di assecondare la frenesia dell’azione, vivendo la preghiera come in una sorta di fast-food spirituale, serviranno più spazi di ringraziamento, di lode, di umile riconoscimento di ciò che Dio ha operato, qualche volta nonostante noi, qualche volta in noi, spesso anche attraverso di noi.
 


Ultimo aggiornamento di questa pagina: 20-MAR-15
 

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