di Gianni Santamaria
La democrazia si nutre di corretta informazione, vuole unopinione pubblica attenta e critica, ma allo stesso tempo questa si forma se vengono garantite voci pluralistiche. Senza timore di dire ciascuno la sua verità, secondo quella che il cardinale Carlo Maria Martini chiamava letica del punto di vista. E senza il timore di dire che cè anche una verità delle cose. A dare un colpo alla visione del mondo basata, se non sulle certezze, almeno sullidea che la comunicazione, il giornalismo, i mass media in generale cercassero - e dicessero - la verità, oggi è quella che si chiama blogosfera. Ne è convinto il direttore del Tg1 Gianni Riotta, che ha tenuto il 13 gennaio allauditorium Parco della musica di Roma una Lezione di giornalismo sul tema dellinformazione nellera di internet. Secondo Riotta, come riferisce il Corriere della sera del 19 gennaio, si sta avverando la profezia di filosofi postmoderni come Richard Rorty: la verità deriva dal consenso, è contrattualistica. E internet - con i suoi siti, blog, social network alla facebook - la disperde, la frantuma in una serie di specchi infranti che rimandano una caleidoscopio di immagini, deformate, aggiunge il giornalista palermitano, dagli specialisti della propaganda. Cosa ne sarà della verità, quando, azzarda Riotta, sulla terra ci saranno 6 miliardi di blog e ognuno scriverà e leggerà il suo? Cosa ne sarà della democrazia, dellopinione pubblica, quando spariranno i media così come li conosciamo. Il direttore del principale telegiornale nazionale si fa guidare nella descrizione degli scenari futuri da due versetti del Vangelo di Giovanni: Voi conoscerete la verità e la verità vi farà liberi e Gli uomini preferirono le tenebre alla luce. Nientemeno. Troppa grazia san Gio - vanni? No. Seppure la teologia sembri in questo discorso un sapere incompetente (letteralmente), Riotta ha azzeccato nellaccostamento. Se ci si allontanerà dallidea di verità liberante che la prima sentenza ci propone, allora si cadrà in uno scenario che ci annichilisce, quello della seconda. Ci sarà il paradosso di Arlecchino per cui in futuro la neve sarà bianca se e solo se Noi e i Nostri amici decideremo così. Se lo decidono i nostri nemici, la neve è di qualunque altro colore. Ecco, dunque, che senza verità non cè comunicazione e ognuno se ne sta rintanato nella sua sfera, in cui vede quel che vuol già vedere. Quale opinione critica è possibile così? Nessuna. Riotta non si iscrive, comunque, nonostante san Giovanni, al partito degli apocalittici. Per lui non è la tecnologia ad avere ucciso lopinione pubblica, ma la presunzione che esistesse una società illuminata e tollerante. Non so come sarà la comunicazione del futuro - conclude -, lo sapessi sarei ricco. So che se da giornali, tv e Rete nascerà una guerra santa on-line, dove lapproccio equanime è sopraffatto dal tutti contro tutti, allora impererà la seconda profezia di Giovanni. Che intorno alla comunicazione si giochino le sorti del sapere della cultura e della storia è lassunto da cui parte il libro Filosofia della comunicazione, scritto da Rocco Ronchi per Bollati Boringhieri e recensito il 31 gennaio da Alessandro Carrera sul Libero. Ronchi, scrive il recensore, parte da unidea forte: che alla verità ci si possa avvicinare con gli strumenti della sola ragione. E se il vero non può essere comunicato non ci resta nessun ‘luogo comune in cui raccoglierci e conversare. La politica cade in mano ai dogmatici e luniverso si riduce a un cumulo di resti disertati dal senso. A condurre il gioco della comunicazione, che lautore del libro analizza nella sua metafisica, nella sua fisica (la parola) e nella sua pragmatica. Infatti, essa non è un fatto, ma un atto. Ed è sempre aperta allinesauribilità conversante del suo senso. Essa è dunque parola che stabilisce una conversazione, come lo spirito che soffia. E senza questa dimensione spirituale, essa si ridurrebbe a scienza quantificabile e soggetta a sperimentazione e parcellizzazione. Ma se si perde la fiducia che la verità possa essere comunicata la società e la politica cadono preda nel migliore dei casi di uno gnosticismo nobile e disperato o, nel peggiore, nella pura demagogia.