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Il significato del costruire: attorno a questo argomento ruotano i pensieri di Castiglioni, che sempre pone l‘accento sul valore comunitario del progetto; questo infatti pende forma nella mente ma si attua nel «fervoroso e corale» lavoro in cantiere per poi staccarsi da chi l‘ha concepito e compiuto per «muoversi verso una vita propria, sempre meno nostra e sempre più degli altri, che ne prendono l‘intimità fino a sospingere noi fra i curiosi della sua presenza, nella strada». E parlando dell‘architettura in generale, del suo esser attività primordiale, del rapporto con la materia «ordinata in struttura a generare ritmi spaziali», il discorso si rivolge subito al tempio, perché qui si manifesta il sentire profondo dell‘uomo. Il termine ricorre: tempio, per indicare anche la chiesa vista nella prospettiva di continuità storica che lega tutti i popoli di tutti i tempi nel comune afflato verso il Creatore: «Nell‘architettura ho incontrato Dio, sempre. Da ogni direzione vi ho urtato».
Nel qualificare l‘atto architettonico, Castiglioni lo inquadra anzitutto nel campo pratico, in cui si incontrano necessità economiche e condizioni ambientali; ma su questo si sovrappone l‘intervento di valore artistico che si manifesta come la presenza umana la quale, oltre che sensibilità estetica, porta il senso morale: è dal congiungersi di questi due elementi che nasce il gesto creativo. Ecco dunque porsi l‘alternativa tra un progetto che comunica ricchezza spirituale, o un progetto compiuto come «atto convenzionale, non redento da simpatia umana», il quale ultimo diventa ipso facto immorale poiché nega l‘essere umano.
Ordine e comunicazione sono dunque pilastri essenziali per l‘architettura: altro è un cumulo di sassi, altro un muro costituito da ciottoli deliberatamente sovrapposti e tra loro legati in modo ordinato. Altro è una macchina o un utensile, certo dotati di coerenza interna ma privi di contestualità, altro un progetto che si insedia in uno specifico contesto apportandovi una modificazione ragionata e dotata di momenti evocativi che la collegano anche al sostrato storico. Il ritmo si pone, al riguardo, come un aspetto qualificante che indica progressioni centripete o centrifughe, che in ogni caso si riferiscono a un centro dell‘organismo nello spazio. In particolare i templi greci, così come chiese emblematiche quali Santa Maria del Fiore con la cupola brunelleschiana, si pongono come momenti la cui presenza definisce un centro nel panorama: hanno valore centripeto. Mentre invece, osservate dall‘interno, la basiliche invitano, attraverso le diverse loro soluzioni progettuali (fughe di colonnati, lunghe navate, intradossi delle cupole) verso lo spazio che sta al di là dei muri e delle pareti che «limitano senza più chiudere», sollecitando così un moto centrifugo. In ogni caso è la capacità di porsi come “centro” che influisce sulla percezione di chi si avvicina a - o abita la - architettura.
La progettualità quindi discende da un‘idea di spazio che conforma la materia in strutture le quali sono frutto non solo di calcoli o schemi costruttivi, ma anzitutto di un‘invenzione che porta il costruito a divenire espressivo. In questo il progettare è un gesto di libertà.
Tale concetto è indagato attraverso la storia dell‘architettura, interpretata come espressione dell‘anima delle epoche che l‘hanno generata: dal muro romano che con la massiccia compattezza dei suoi mattoni cementati esprime una «società che ricerca i propri valori nella comunità dell‘azione e del dominio»; al «drammatico dialogare» tra materiali diversi quali la pietra, il mattone, il legno, nel romanico che accoglie il dramma umano; al luminoso gotico ove le strutture si  scarnificano per introdurre racconti favolistici che trasportano in un‘interpretazione nuova il dramma....
Un capitolo tra i più densi è dedicato ai “Percorsi dell‘architettura”, ovvero alla dinamicità intrinseca al rapporto tra essere umano e costruito, poiché sempre lo spazio è esperito nel momento del suo attraversamento, o con la vista o col movimento fisico: «Nelle chiese romaniche il percorso muove dal sagrato sulla piazza della città o dallo spiazzo erboso delle campagne, pieni di clamori e di voci che risuonano ancora sotto le prime volte.... Dentro la selva delle cattedrali gotiche il ritmo è proiettato continuamente verso gli spazi che s‘aprono in ogni senso si perdono in lontananze illimitate, in un brillare lontano di piccole luci...». E si confrontano diverse soluzioni di percorsi: quello che da Parigi porta a Versailles dove le carrozze corrono allineate tra parchi dal marcato impatto scenografico; i percorsi “senza intimità” che portano, una volta varcata la soglia dell‘appartamento, subito nel soggiorno, senza soluzione di continuità tra dentro e fuori: così diversi dai “riguardosi” percorsi delle magioni campestri dove sull‘aia gli animali coi loro versi annunciavano il visitatore che attraversava androni, ballatoi, corridoi prima di introdursi in casa. E percorsi che introducono nelle città dando luogo allo spettacolo ricco di sorprese per i cangianti scenari variamente composti tra cielo, strade , edifici, piante, conformazioni del terreno; e il modo in cui le successioni di elementi si presenta agli occhi del viaggiatore e gli appare diverso a seconda delle strade che sceglie, delle prospettive che inquadra e della velocità con la quale vi s‘insinua.
La conclusione di questa indagine: «Oggi il percorso principale e l‘ambiente originario devono essere ricostruiti mentalmente: come per chi entra in chiesa dalla sacrestia, o nel palazzo dalla porta segreta, o sbuca nella piazza da un vicolo. Chiesa, palazzo e piazza sono capite solo quando la conoscenza vi è completa e tutta presente nella mente che tosto riconnette ogni parte all‘organismo intero, ogni dettaglio allo svolgimento finale... Io non credo che i tecnici, quando tracciano una strada o una ferrovia, si pongano tali questioni. Essi operano per un impulso d‘azione non molto dissimile dall‘istinto che sospinge e regola il ragno a tessere la sua tela. E a pensarci bene è meglio così, che essi non si pongano simili ragioni, così che evitiamo il maggior danno della retorica». Si tratta di un chiaro esempio della prosa del Castiglioni, corposa e ben articolata quanto desiderosa di evitare il pregiudizio per affermare la ricerca di senso, troppo spesso soffocata dalle consuetudini: quel che oggi diremmo “politically correct” e Castiglioni definisce “retorica”. Ma anche, ovviamente, una critica all‘inautenticità dell‘esibizionismo cui spesso la progettazione indulge.
Lo scritto successivo è inteso come un discorso che l‘architetto rivolge al teologo, ovvero il progettista al committente ecclesiastico e l‘incipit già inquadra bene il problema: «A ben guardare è, questa del costruire la chiesa, una responsabilità così grande che toglie ogni baldanza e io vedo il pericolo cui mi espongo nel trattare un oggetto dove l‘azione liturgica e il sentimento si fanno materia, prendono forma, essendo io semplicemente il muratore. Però è necessario che ognuno esponga le ragioni del suo operare con i termini della sua arte; quando il teologo fosse lì per torcere il muso per qualche mio svarione, consideri con se stesso che è accaduto a me di ascoltare delle enormità sulla mia arte, e non solo da curati di campagna: mi sono convinto che convenga a un certo momento a noi posare la matita sul foglio e al teologo socchiudere il libro e sederci per tentare un colloquio necessario».
Il rapporto tra committente e progettista è sempre qualificante per la riuscita del progetto: tanto più lo è per la chiesa, per il “tempio”, ovvero il luogo che si pone al di fuori delle categorie consuete fondate sull‘utilità e sulla convenienza. In quanto espressione di un‘offerta e di una testimonianza, il tempio, la chiesa, si pone come episodio limite del progettare, essendo architettura dove, nell‘assenza di contatto con finalità immanenti, si manifesta il sublime attraverso una ricerca che va al di là di quanto può essere definito con esaustiva precisione: il “percorso” instaurato dalla chiesa edificio ha la virtù di offrire l‘apertura verso un‘alterità totale.
La difficoltà, secondo Castiglioni, sta nel sussistere oggi una situazione di conflitto tra individuo e società: da un lato l‘aspirazione a una libertà non ben compresa, dall‘altro l‘urto con le sovrastrutture ideologiche o politiche che divengono «pretesto di privilegi». Da questo deriva la solitudine dell‘uomo contemporaneo, la difficoltà di compartecipare, nella vita come nell‘espressione artistica, a un sentire condiviso. Per cui si arriva all‘incapacità di comunicare (ovviamente da Castiglioni il comunicare è inteso come atto intensamente sociale, non come abitudine modaiola). Da questa situazione di scontro tra individuo e società e di incapacità di comunicare deriva l‘astrazione, che è «perfezione formale raggiunta con l‘indifferenza verso la materia... un moto continuo in uno spazio inerte, senza urti». In questa sorta di atarassia e asetticità si fa strada un‘idea di soprannaturale spettacolarizzato che si propone come nuovo paganesimo. A fronte di questo, sostiene Castiglioni, la sostanza del Cristianesimo è dramma, con questo intendendo la partecipazione, la commozione, la condivisione.
Di qui la critica che muove Castiglioni all‘arte contemporanea che, «forse... messasi per i sentieri delle astrazioni che le hanno straniato il pubblico, sente l‘assenza della Chiesa. Perché la comunione fra gli uomini è carità».
Quanto all‘architettura invece, essa origina dalla casa e questa nella società odierna diviene sviluppo dei centri produttivi industriali: in tutto questo manca l‘aspetto della coralità più propriamente umana. Ergo, sostiene Castiglioni, ci si rivolge all‘urbanistica come visione che consente di riappropriarsi l‘idea di collettività: «Nella visione urbanistica l‘architettura progredisce dallo spazio verso l‘organismo, che è spazio vissuto; è soprattutto arricchita dalla componente tempo, che era presente nell‘architettura e negli organismi del passato... quando il suo svolgimento avveniva per impulso spontaneo».
Oggi un nuovo incontro tra aspirazioni del momento, autentico sostrato culturale e architettura può avvenire là ove si predispone un ambiente volto all‘interesse non episodico e temporaneo della comunità: e questo è la chiesa. «Nella visione urbanistica dell‘organismo sociale occorre ricercare la posizione e il significato del tempio, del luogo dell‘incontro mediato fra l‘uomo e la società. La chiesa incomincia nella casa. È la sede sociale di una comunità che si forma e vive nella casa. Perché la chiesa possa essere veramente la casa di tutti occorre che non si perda il significato della casa.... Abbiamo visto i quartieri dell‘edilizia recente!... Occorre disperdere questa noia senza speranza, questo smisurato sbadiglio suicida... Si deve ricomporre questa umanità persa, attraverso comunità vive dove gli uomini possano riconoscersi ed estendersi nel prossimo... La chiesa deve poter essere il compimento e il fulcro ideale di un organismo composto e armonico: casa, strada, chiesa, fabbrica: la dimora dell‘uomo. Il passo dalla casa alla strada, alla chiesa, all‘officina, ai campi dovrà essere semplice e naturale. In questo impegno di partecipazione alla vita, l‘architettura della chiesa potrà ritrovare dignità e valore».
Nel discutere più nello specifico del “tempio”, Castiglioni significativamente svolge il suo pensiero a partire dalla parola: il primo mattone su cui si costruisce la civiltà, il cemento vero della società: e poiché è possibile comunicare solo ove le parole siano intese in modo chiaro e distinto da tutti allo stesso modo, ecco la necessità che sia condiviso un medesimo sistema di valori. Poiché questo deriva dalla fonte prima della legge morale, ecco che tale fonte va riconosciuta attraverso il luogo nel quale la comunità si raccoglie nel Suo nome. Qui si ritrova l‘atto gratuito del dono. Per tutto questo il progetto della chiesa va inteso come atto di gratuità: come l‘impegno a dare il meglio di sé.
 


Ultimo aggiornamento di questa pagina: 01-FEB-16
 

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