Chiesa e Internet: il primato della persona
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È possibile per la Chiesa avere nella rete di comunicazione globale una fisionomia riconoscibile senza per questo assumere linguaggi non conformi alla sua tradizione apostolica? Dalla capacità di fornire una risposta adeguata all‘interrogativo, può nascere nella comunità ecclesiale la consapevolezza di saper partecipare attivamente all‘utilizzazione di Internet, uno strumento che sta crescendo di importanza come efficace supporto all‘azione delle diocesi. È quanto emerso dal convegno "Chiesa in rete 2.0" promosso dall‘Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali e dal Servizio informatico della Conferenza episcopale italiana (Cei), che si è concluso ieri a Roma.
Durante i lavori è stato sottolineato che la rete sta consolidando il suo ruolo di medium privilegiato per le organizzazioni, le famiglie e in particolare i giovani, grazie alla diffusione avvenuta negli ultimi quindici anni.
Il segretario generale della Cei, monsignor Mariano Crociata, intervenendo al convegno, ha affermato che "nell‘ambiente del web siamo chiamati a vivere perché la sua forza ci condiziona e non possiamo tirarci fuori".
Internet è un fenomeno tecnologico e culturale che raccoglie in sé le caratteristiche e le potenzialità di quasi tutti i media tradizionali, come radio, televisione, stampa e telefono, senza rinunciare alle sue specificità. Oggi, nell‘era del cosiddetto "web 2.0", ovvero il mondo digitalizzato dove le informazioni non vengono soltanto diffuse ma anche condivise nell‘ambito delle comunità virtuali, la Chiesa è consapevole delle potenzialità, ma anche dei rischi della rete. Per questo, è stato evidenziato, occorre inserirsi con la "logica del cristianesimo" nella cosiddetta "cybercultura".
Secondo il segretario generale della Cei nasce da qui l‘esigenza "di alcuni criteri, di alcune piste per interpretare questo mondo e per proporre delle regole da seguire". Il primo aspetto messo in rilievo dal vescovo riguarda il piano antropologico che invita a rivedere il mondo delle relazioni.
Una seconda prospettiva emerge, invece, dalla teologia della creazione: "Occorre - ha osservato - non perdere mai di vista l‘irriducibilità dell‘esistenza personale e ciò rimanda all‘incarnazione, che per noi credenti, che viviamo nel mondo del web, è un orizzonte da non smarrire mai".
Una terza prospettiva - ha poi aggiunto il presule "è di natura ecclesiologica e riguarda l‘irriducibilità della dimensione sacramentale: tutto deve essere ricondotto alla dimensione sacramentale del nostro essere Chiesa".
La dottrina cristiana si è sempre incarnata e inserita nelle culture del suo tempo. E quindi anche nell‘era di Internet, è stato specificato, non possono mancare le condizioni affinché il servizio alle diocesi possa meglio svolgersi con la conoscenza e l‘uso corretto delle nuove tecnologie, le quali non introducono solo un metodo di lavoro, ma incidono sulla mentalità e sul costume delle persone.
Il direttore dell‘Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali della Cei, don Domenico Pompili, ha spiegato: "Siamo ormai al tempo del "web 2.0": siamo passati cioè dalla semplice fruizione di contenuti elaborati da altri, alla costruzione e condivisione degli stessi, come suggerisce l‘esplosione dei blog, per arrivare ai nostri giorni in cui si assiste alla realizzazione di un "reale universo virtuale"".
La nuova sfida posta dall‘affermazione di questo social network, "potrebbe però rivelarsi, a ben guardare, un vantaggio per entrare in maniera più critica e avvertita dentro un mondo decisivo". La Chiesa, dunque, pur essendo sempre stata attenta agli sviluppi degli strumenti comunicativi, manifesta la necessità che comunque di essi si faccia un uso corretto.
Questo è quanto ha ricordato anche il professor Adriano Fabris, docente di Filosofia Morale all‘Università di Pisa. Il relatore, a tale proposito, ha fatto riferimento a due documenti del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali, dai titoli: La Chiesa e Internet ed Etica in Internet. In questi documenti - sostiene Fabris - "veniva sottolineato con chiarezza il carattere ambiguo della rete: apertura di grandi opportunità, ma anche causa di possibili ingiustizie; occasione per una pastorale nuova e più efficace, ma anche strumenti da usare con il giusto discernimento". All‘intervento di Fabris, ha fatto eco quello del professor Giuseppe Mazza, docente di Teologia Fondamentale e di Comunicazioni Sociali alla Pontificia Università Gregoriana, che ha osservato come "le relazioni mediate da Internet risultano spesso "anomiche" e, questa assenza di regole, fatte salve le dovute eccezioni, comporta instabilità e interazioni scarse, se non distorte". In base a un‘indagine presentata al convegno risulta che su un campione di 1.338 parrocchie su 26.000, circa l‘86% posseggono un computer e il 70% sono connesse a Internet.
di Alessandro Trentin
(©L‘Osservatore Romano - 21 gennaio 2009)
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