Su Facebook cè anche una pagina falsa a mio nome, e lho scoperto soltanto grazie alla segnalazione di alcuni colleghi, che se ne sono accorti…. Comincia con quella che potrebbe sembrare una battuta, e invece è realtà, la riflessione di Francesco Casetti, direttore del Dipartimento di Scienze della comunicazione e dello spettacolo dellUniversità Cattolica, su Facebook, il social network più diffuso al mondo, con circa 4 milioni di iscritti. Interpellato dal SIR su alcuni abusi di cui ha riferito oggi la stampa - come la pagina di Facebook su Totò Riina, cliccata da milioni di fans tanto da sollecitare lintervento della Procura, o quella di uninfermiera dellospedale Molinette di Torino, indagata perché inseriva foto di pazienti affiancate da scritte ironico-ciniche o dalleloquente viso di una collega infermiera che ride - segnala che si tratta di un problema di controllo, ma non tanto legato alla libera espressione, quanto allirresponsabilità di chi usa degli ‘alias che ti mettono al riparo. La polizia postale in Italia è una delle branche più efficaci della polizia, fa notare lesperto, per il quale la risposta ad abusi simili può essere la risposta di tipo classico, cioè di ordine pubblico - già ben garantita nel nostro Paese - che però non deve poi andare a toccare la censura dei contenuti, ma alzare il livello delle condizioni di responsabilità. Ad esempio, osserva lesperto, la creazione di falsi su Internet può essere dovuta in gran parte al fatto che, in alcuni casi, è molto facile risalire alla data di nascita e allindirizzo di posta elettronica di una persona, che sono gli unici due requisiti per accedere a Facebook. Lambito su cui intervenire è dunque anzitutto quello del processo di validazione, cui andrebbero messi gli opportuni paletti, selezionando gli accessi. Se in passato alla mobilità era associata unidea di maggiore libertà - spiega infatti Casetti - oggi, con la mobilità virtuale che si affianca e spesso sopravanza la mobilità reale, certamente cè maggiore libertà, ma la maggiore libertà è direttamente proporzionale al maggior rischio di irresponsabilità. Di qui la necessità, per Casetti, di evitare forme di irresponsabilità di parola, agendo però sul versante della maggiore responsabilità, non su quello della censura dei contenuti. Leducazione alluso dei media, conclude lesperto, è un processo lungo, che consiste non tanto nellalfabetizzazione, ma nellimparare ad essere sempre più cittadini responsabili, riconciliandoci fono in fondo e per davvero con i tempi in cui viviamo.