Giovedì santo
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Moltiplicazione dei pani - Ultima cena
, avorio scolpito, sec. XI-XII.
©
Su concessione della Soprintendenza BSAE di Salerno e Avellino - Museo Diocesano di Salerno.
Il Giovedì Santo la Chiesa celebra il rito della benedizione degli olii santi durante la Messa del Crisma e con la memoria della Cena del Signore, inizio del Triduo Santo, entra nel vivo delle festività pasquali.
Nel corso della Messa Crismale dello scorso anno papa Francesco diceva: «Gesù parla in silenzio nel mistero dellEucaristia e ogni volta ci ricorda che seguirlo vuol dire uscire da noi stessi e fare della nostra vita non un nostro possesso, ma un dono a Lui e agli altri…
Nella Chiesa, ma anche nella società, una parola chiave di cui non dobbiamo avere paura è solidarietà, saper mettere, cioè, a disposizione di Dio quello che abbiamo, le nostre umili capacità, perché solo nella condivisione, nel dono, la nostra vita sarà feconda, porterà frutto». La sorgente di questo dono per la Chiesa e per ogni singolo credente è la Mensa Eucaristica nella quale la comunità radunata nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito, ripetere il gesto compiuto da Gesù con listituzione del Sacramento dellAltare.
Il comando di Gesù rivolto ai suoi discepoli chiamati a perpetuare quanto da lui stesso compiuto nel cenacolo si prolunga poi nel segno della lavanda dei piedi, tanto che lo stesso Maestro e Signore dice ai suoi commensali: «Vi ho dato lesempio perché come ho fatto io facciate anche voi» (Gv 13,15). Così facendo pone una relazione profonda e indisgiungibile tra lEucaristia, sacramento della sua offerta sacrificale al Padre per la salvezza del mondo, e il comandamento dellamore che si traduce nel servizio incondizionato, sino al dono della vita, ai fratelli.
DallEucaristia la Chiesa trae la sua origine permanente e allEucaristia essa deve fare ritorno in ogni istante della sua esistenza e della sua missione perché possa essere e crescere secondo il pensiero e il disegno di Dio. Del resto «la Chiesa è stata fondata, come comunità nuova del Popolo di Dio, nella comunità apostolica di quei dodici che, durante lultima cena, sono divenuti partecipi del corpo e del sangue del Signore sotto le specie del pane e del vino. Cristo aveva detto loro: Prendete e mangiate..., prendete e bevete. Ed essi, adempiendo questo suo comando, sono entrati, per la prima volta, in comunione sacramentale col Figlio di Dio, comunione che è pegno di vita eterna.
Da quel momento sino alla fine dei secoli, la Chiesa si costruisce mediante la stessa comunione col Figlio di Dio, che è pegno di pasqua eterna» (Giovanni Paolo II, Dominicae cenae 4).
La ricchezza di questo mistero di salvezza è sapientemente raccolta in unopera in avorio che fa parte di una collezione più vasta di tavolette eburnee istoriate, molte delle quali illustrano scene dellAntico e del Nuovo Testamento, probabilmente costituenti nel loro insieme un paliotto daltare. Oggi sono conservate al Museo S. Matteo di Salerno.
La tavola qui illustrata è divisa in verticale in due scene distinte e complementari. La parte superiore è occupata dallepisodio della moltiplicazione dei pani e dei pesci, chiaro rimando al mistero eucaristico. Gesù è intento a consegnare il pane moltiplicato ai suoi discepoli che a loro volta lo distribuiscono alla folla. La parte inferiore è invece costituita a sua volta da due scene. Innanzitutto lultima cena, in cui possiamo vedere Gesù seduto assieme ai suoi discepoli a una tavola imbandita con al centro un grande pesce, simbolo cristologico ed eucaristico, poco prima di annunciare il tradimento di Giuda. Poi ecco la lavanda dei piedi, lì dove Gesù, dopo aver deposto la veste su uno sgabello posto alle sue spalle ed essersi cinto di un asciugatoio, lava i piedi a Pietro e agli altri discepoli. Il suo gesto ha una forte connotazione liturgica e richiama immediatamente ciò che durante la celebrazione della Cena Domini compie il sacerdote quando ripete lazione compiuta da Gesù nel cenacolo.
Le due scene sono strettamente relazionate e celebrano un solo mistero: «Prima della festa di Pasqua Gesù, sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine» (Gv 13,1). Verso Cristo, il quale «ci nutrisce con tutto il sangue del suo corpo e del suo cuore, sotto il peso di inauditi dolori, pressato come in un torchio, solo per la forza del suo amore infinito» (M. S. Scheeben), si muove il cuore della Chiesa alla quale il Maestro «prima di consegnarsi alla morte, affidò il nuovo ed eterno sacrificio, convito nuziale del suo amore» (Preghiera Colletta).
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