Sono avidi di apprendere nuove tecnologie, non disdegnano la lettura ma non sono sostenuti nellimpegno, cercano con ansia forme di aggregazione anche se poi spesso finiscono per accontentarsi dei salotti televisivi. Per chi affronta il nodo del rapporto tra giovani e cultura cè molto da lavorare, ragionando lucidamente su dati oggettivi per evitare le secche delle interpretazioni superficiali, occasionali, usa e getta che tanto attraggono i titolisti dei quotidiani e gli animatori dei suddetti salotti. E allora è il caso di guardarsi attorno con attenzione e registrare alcune analisi autorevoli. Nel documento preparatorio redatto dallAsso - ciazione Italiana Editori in vista degli Stati generali dellEditoria, tenutisi a Roma ai primi di ottobre, viene evidenziata chiaramente la spesa delle famiglie italiane per acquisto di libri da leggere per i loro figli e ragazzi, che risulta inferiore del 75% rispetto a quanto investono le stesse famiglie in Francia, del 71% rispetto alla Germania, del 65% rispetto a UK; ecc. Così come linvestimento pubblico in scuola e istruzione (in percentuale sul PIL) nel nostro Paese risulta inferiore del 4,3% rispetto alla Francia o addirittura del 24,3% rispetto al Regno Unito. A fronte di questi dati vediamo che il tasso di occupazione giovanile è in Italia inferiore rispetto a tutti i maggiori Paesi europei: Germania (-10,4%), Regno Unito (-6,9%). La lettura di libri, cioè lacquisizione di competenze culturali di tipo informale (lettura di libri non scolastici) tra la popolazione dei 6-19enni è sempre inferiore a Francia (-31%), Spagna (-29%), le competenze relative alla comprensione di testi (competenze alfabetiche) restano più basse rispetto a tutti i maggiori Paesi europei: Francia (-6,7%), Germania (-8,0%), Regno Unito (-8,8%). Famiglia, dunque, scuola e istituzioni sono il punto dolente, dove si registra uno scollamento e soprattutto una latitanza nel fornire stimoli di conoscenza, proponendoli magari come strumento essenziale per la crescita, per la vita, per il lavoro. È curioso incrociare questi dati con unaltra ricerca pubblicata a fine settembre dallosservatorio permanente dei contenuti digitali, che ha suddiviso i navigatori nostrani in due categorie: eclettici e technofan. Qui non ci interessa tanto sapere che i primi usano la rete in modo funzionale alle proprie attività, mentre i secondi ne sfruttano ogni recesso e possibilità, ci basta evidenziare che in questa seconda categoria rientrano i più giovani, che, spiega il rapporto, tendono a essere sempre più technofan anche quando i genitori non lo sono, perché linfluenza di questi ultimi è sempre più debole e i ragazzi preferiscono prendere come riferimento i coetanei che condividono questi strumenti e lo spirito del ricorso ad essi. È allora sempre più la rete la nuova frontiera dove si gioca la comunicazione della cultura, e lo è soprattutto alla luce del boom dei social network, aggregatori molto più potenti ma versatili di messenger o di una chat. Nei social network ogni utente è portatore di informazioni, di cultura, di gusti personali, insomma ogni nodo della rete è tanto più importante quanto più si presenta come persona, con le proprie sfaccettature e la propria storia. È qui allora che chi vuole fare cultura deve essere presente, perché i giovani hanno bisogno di identità forti che si presentino però col loro linguaggio e con delle cose da raccontare, meglio ancora se si raccontano come storie, come itinerari di senso con nome e cognome e soprattutto un percorso da condividere.