La comunicazione è un dato di fatto ineliminabile. Vivere è comunicare. E ancor più per la Chiesa comunicare non è unopzione tra le altre, ma è una missione, anzi la missione!. Lo ha detto oggi pomeriggio don Domenico Pompili, direttore dellUfficio Cei per le comunicazioni sociali, intervenendo al convegno regionale sullinformazione in Umbria, intitolato Cercare la verità per condividerla. Richiamando il direttorio Comunicazione e missione, don Pompili ha evidenziato che lazione ecclesiale non deve tanto essere attenta allutilizzo di «potenti mezzi», ma deve ripartire dallinculturazione del Vangelo in un ambiente ormai plasmato dai media e al quale essi forniscono le informazioni e le chiavi di lettura della realtà. Nel direttorio, ha osservato il sacerdote, si possono rintracciare tre prospettive. La prima è percepire il mondo delle comunicazioni come il primo areopago del tempo moderno. E qui subito una ricaduta concreta: Le forme tradizionali di trasmissione della fede legate alla catechesi, alla vita sacramentale e alla testimonianza della carità sono e restano centrali, anche per il futuro, ma è necessario che nelle loro modalità espressive sia sempre più tenuta presente linfluenza della cultura mediatica e nello stesso tempo occorre allargare lorizzonte delle vie attraverso cui sviluppare lannuncio del Vangelo. Oggi la responsabilità dellannuncio - ha proseguito don Pompili - impone non solo di usare, ma di vivere dallinterno, certo con spirito libero e critico, questa nuova cultura mediale, per tentare di ispirarla con la forza del messaggio cristiano. Non solo: Il territorio geografico è sempre stato tradizionalmente il parametro per identificare la comunità cristiana, ha detto il sacerdote, ma adesso se si vuol dare al territorio che ha subito una profonda trasformazione antropologica il suo giusto rilievo non si può saltare la mediazione elettronica, che tutti ci avvolge. E arriviamo alla seconda prospettiva: I cristiani non devono subire semplicemente il cambiamento mediatico, ma lo devono interpretare alla luce della propria identità spirituale. La terza prospettiva è necessariamente quella educativa quando si tratta di comunicare. Per contrastare visioni inadeguate e parziali è necessario interloquire con la cultura, cioè con la mentalità plasmata dai media, coltivando una presenza discreta e autorevole allinterno dei vari segmenti della macchina mediatica: giornali, radio, tv, web. Allo stesso tempo devessere favorita la possibilità di unautonoma e libera presenza dei cattolici nel dibattito pubblico con propri strumenti di comunicazione. Esempi positivi, per don Pompili, sono Avvenire, lagenzia Sir, Sat2000 e Radio InBlu.