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Amate l‘architettura! Un invito cantato con poetico afflato, un‘intenzione che pervade tutto il testo: amatela antica e moderna perché entrambe compongono «quel teatro che non chiude mai, gigantesco, patetico e leggendario, nel quale noi ci muoviamo, personaggi-spettatori vivi e naturali», la città, l‘ambiente costruito ove si dipanano i giorni, che siano nell‘antica Venezia o nella sfolgorante New York, dove l‘architettura sempre testimonia la sua epoca. E amatela perché siete in Italia, luogo dalla singolare vocazione architettonica, composta metà da Dio e «metà dagli Architetti».
Ma l‘invito è anzitutto volto a far sì che il lettore comprenda l‘architettura dei nostri giorni: non voltandosi indietro con nostalgia del già fatto, bensì assumendo il senso del progettare con le tecnologie più nuove e per il sentire dell‘oggi: «Amate l‘architettura moderna, comprendetene la tensione verso una essenzialità... un connubio di tecnica e di fantasia.... i movimenti di cultura, d‘arte e sociali ai quali essa partecipa... Amate gli architetti moderni, non ci sono altri architetti per voi, ma siate duramente esigenti con essi: è il modo vero di amarli, di operare con loro e per lodo: richiamateli sempre alle loro responsabilità... essi non debbono seguitare gli stili del passato (sarebbe più facile), ma debbono seguire la nobiltà che gli stili del passato ci dimostrano nell‘incanto delle opere più pure (è il difficile)». E il confronto col grande passato serva dunque di stimolo di qualità per l‘oggi, non di remora alla fantasia: al punto che è bene tifare per l‘uno o per l‘altro dei protagonisti del progetto, verso i quali l‘Autore chiede non sudditanza, ma rigorosa esigenza così che le opere nuove siano allo stesso livello di quelle antiche.
Non è difficile: non arzigogolata, non complicata. L‘architettura facile, come lo è quella vernacolare, spontanea, che mira all‘essenziale come sono le case di Alberobello o di Santorini. «La complichiamo noi architetti, quando riusciamo cattivi architetti o accademisti (dell‘antico, del moderno) e non le obbediamo».
E che cos‘è dunque architettura? Non semplice costruzione, bensì espressione propria di una cultura e di un tempo dato che, ove raggiunga pienamente il suo scopo, si eleva - come l‘arte sola sa fare - al di sopra dei tempi e diviene “bella” per ogni epoca. V‘è quindi un aspetto funzionale, al quale tutti sono chiamati a pensare: gli insegnanti, così che le scuole siano luminose e accoglienti, i medici, così che gli ospedali siano allegri e invoglino alla vita, gli industriali, così che gli impianti per gli operai siano sicuri ed efficienti... A tutto questo gli architetti dovranno aggiungere l‘arte: che gli edifici siano anche belli.
Anche i politici dovrebbero pensare all‘architettura, perché la «Polis è Architettura»: così pensavano gli antichi ma «oggi non ci pensano mai, non ci sanno pensare», conclude Ponti con una delle pochissime note di pessimismo.
Il che non deve distrarre l‘architetto dal fatto che la sua è una missione di valore sociale che consiste nel dare alle persone ambienti gradevoli dove vivere. Rispettando i centri storici per quel che sono e programmando espansioni urbane dotate di nuovi centri pensati secondo piani regolatori responsabili, dove in tutti i quartieri si rovino servizi pubblici adeguati e in tutti gli appartamenti spazi confacenti. Ecco che la figura dell‘architetto assume la dimensione di colui che presta un‘opera di servizio essenziale per la società: non in quanto utile alla gloria del “principe”, ma per il benessere comune.
Come si caratterizza l‘architettura contemporanea? secondo il principio che incapsula tutta l‘opera di Ponti e che riassume nel concetto del “cristallo”. Non in quanto forma (per quanto il disegno esagonale che è caratteristico dei cristalli ricorra nei suoi progetti), ma in quanto purezza, leggerezza e trasparenza di costruzioni stabili e concluse.
La sfera, specifica Ponti, non ha inizio né fine: non “sta”. Non può essere architettura. Le tante forme che possono essere architettura sono quelle capaci di reggersi in modo stabile (piramidi, obelischi, cubi o serie di cubi), forme chiuse che poggiano stabilmente: le soluzioni circolari sono concepibili solo come basi di cilindri o di cupole, capaci di poggiare saldamente al suolo. 
 
Oltre alla stabilità, l‘architettura include dinamicità, non perché si muova, ma in quanto espressione artistica, come esemplato nel “Discobolo” di Mirone.
E compiutezza: «Il Battistero di Pisa non si può sopralzare, un quadro non si può aumentare, né una musica prolungare». Sono opere complete, dotate di unitarietà e intangibili: mentre le costruzioni seriali, basate su elementi ripetuti, possono essere prolungate o sopraelevate senza variarne il senso.
Ma come giudicare l‘architettura? C‘è chi si sente smarrito in assenza di uno stile dominante, che è una caratteristica della nostra epoca. Ma, obietto l‘Autore, se la bellezza appartenesse a un singolo stile, ne escluderebbe altri: se fosse “bello” il canone barocco non potrebbe esserlo il tipo romanico o quello gotico...
Ponti polemizza con chi sostiene che vi sia una frattura tra l‘architettura moderna e quanto avvenuto sino alla fine dell‘800, per via dell‘emergere di materiali e tecniche nuove (metallo, cemento, cristallo) nel contesto di diverse condizioni economiche e sociali. Ma che c‘entra tutto ciò col giudizio sulla bellezza? Identica storia, identiche tecniche, identici ambienti hanno sempre prodotto infatti opere belle e opere brutte, mentre «diverse storie, diversi ambienti, diversa tecnica hanno prodotto il Partenone e il Battistero di Pisa che sono egualmente belli».
 
In questo l‘A. afferma la perenne contemporaneità delle opere importanti e valide, a prescindere dall‘epoca e dalle condizioni nel cui contesto sono sorte.
La bellezza dell‘architettura dipende dalla forma e questa sussiste solo se v‘è “invenzione formale” che diventa irripetibile, immodificabile e unica. E in tale forma si deve identificare la struttura, poiché solo così la forma è autentica e sincera: forma veritatis. Altrimenti diviene nascondimento, paravento, menzogna. Ne discende che la verità strutturale che si manifesta nella forma va portata all‘essenzialità, dove non v‘è nulla da togliere né da aggiungere, poiché si raggiunge una compiuta «unità, contro ogni estetismo (tradizionale o modernistico) e contro ogni decorativismo (attenzione però a non scambiare il plasticismo dell‘architettura antica, tutt‘uno con essa in funzione celebrativa e dedicatoria, con la decorazione). L‘essenzialità è un termine di giudizio e di misura dell‘opera d‘arte architettonica» (pag. 68).
L‘architettura non è ripetizione: le città più vive e belle si trasformano in continuazione, mentre gli stili ripetuti fuori dall‘epoca loro sono «accademia, falsità dunque». Bisogna «operare con stile, non in stile», avere un‘educazione classica, non operare secondo una derivazione classica.
L‘architettura ha le sue leggi, fatte di misura e di concordanza tra forma, struttura, funzione ed espressione, ma anche di tecnica. «Le leggi ci guidano, gli stili corrompono le idee, perché si corrompono col tempo», ovvero l‘architettura dev‘essere contemporanea al suo tempo e se riesce ad esprimersi sul piano dell‘arte, allora diventa anche contemporanea in ogni tempo in quanto singola creazione originale.
L‘edificio vuole «semplicità (cioè sincerità), ordine il che vuol dire, in sintesi, essenzialità, nella quale è la sua verità. L‘edificio non vuole essere bugiardo, camuffato in qualcosa che esso non è, come capita agli stilisti e agli imitativi. Vuole poi la sua forma pura e finita, la sua originalità, perché senza la sua forma esso non è... L‘architettura ha le sue voci, agli architetti captarle e obbedirle: sono la guida migliore».
La parte finale del volume è dedicata al rapporto tra architettura e religione: «La Chiesa elargì civiltà e nei suoi edifici stessi elargì a tutti, anche al più povero, architettura (e quale!), musica (e quale!), pittura (e quale!), scultura (e quale!)... Prìncipi della Chiesa, amate l‘architettura! L‘avete tanto amata nel passato. In essa sono, dopo quelle della santità, le supreme opere umane in gloria del Creatore».
E l‘architettura e l‘arte concepite per la Chiesa non possono non nascere dalla religione stessa. Si tratta non solo di far aderire l‘edificio chiesa all‘arte propria della sua epoca, ma anche di renderlo consono alla specifica espressione di fede che si manifesta in una specifica epoca. E ora, «qual è il conforto che la nostra epoca chiede alla Chiesa e che da essa sommamente riceve?» chiede Ponti. E risponde: « Il conforto alla nostra solitudine morale e spirituale» derivante dalla meccanizzazione, dalle grandi organizzazioni statali che riducono la persona a numero comprimendone la singolarità nella massa. Solo nella chiesa l‘uomo ritrova la propria individualità in quanto essere umano, creatura singola e irripetibile. Non funzione, ma essere umano accettato e compreso per quel che è, povero o ricco, felice o infelice, buono o cattivo... E «gli architetti di oggi, che per lo Stato e la Società costruiscono gli edifici delle organizzazioni di massa, debbono costruire la Chiesa per l‘uomo solo. Se il Ministro di Dio nelle parole e negli atti è termine fra Dio e l‘uomo solo, l‘architetto partecipi a creare l‘ambiente per questa ospitalità dell‘anima sola nella Casa di Dio, con una espressione architettonica adeguata spiritualmente all‘uomo, e senza impedimenti decorativi, che disturbino l‘incontro fra l‘uomo e Dio. E un rilievo di grandissima purezza sia dato al fonte battesimale, ed un invito di grandissima sincerità sia dato al confessionale: e regnante su ogni cosa la Croce vera sia Gesù, uomo in terra sofferente in Croce.
«Se dunque - ci è stato dubitosamente chiesto - possiamo noi più architettare chiese? Noi possiamo ben rispondere: che mai quanto in questi tempi, e per i tempi che verranno, l‘architetto si può accingere con più lucida coscienza d‘una angoscia umana e con più illuminata speranza e fede, ad architettare una Chiesa, a sentire a quale bisogno essa deve assolvere» (pag. 274).La chiesa, dunque, per Ponti è il coronamento della città, e un veicolo che nella società e nella storia trasmette il messaggio di salvezza, divenendo il porto in cui l‘essere umano disorientato e perduto ancora e sempre trova conforto.


Ultimo aggiornamento di questa pagina: 03-GIU-14
 

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