Accanto allexploit di Myspace, la classifica dei 20 siti più frequentati dagli utenti USA è scandita dalle presenze di Ebay, il sito di aste con i suoi 248 milioni di utenti registrati, Facebook, la community di studenti dei college, Youtube, larchivio (?) video recentemente acquistato da Google per 1.65 miliardi di dollari e, ancora, Wikipedia, lenciclopedia libera, redatta dagli utenti, con i suoi 6 milioni di voci, allinizio del 2007, e le 229 lingue di pubblicazione.
Per questo fenomeno di partecipazione, in cui le persone che accedono alla rete non sono più navigatori, fruitori passivi, ma diventano, a pieno titolo, utenti produttori di contenuti, sono state coniate diverse etichette: si va dalla sintesi, felice ma commerciale, di web 2.0, alle definizioni di internet sociale o di rete collaborativa.
Queste denominazioni rappresentano solo langolo visuale dal quale si osserva un fenomeno ormai consolidato, che si concreta, in forme molto diverse, nella passione per i blog, nei contenuti pubblicati e condivisi su YouTube o Flickr, nei gruppi di Yahoo, fino - incredibile per noi latini - nel servizio di prestito tra privati www.prosper.com, lanciato con successo negli Stati Uniti, da poco sbarcato in Europa e lanciato anche nel nostro paese con www.zopa.it. Sì, in rete cè anche un servizio, Prosper appunto, con quasi 500 mila utenti attivi, che si prestano denaro - 100 milioni di dollari in meno di 2 anni -, affidandosi esclusivamente allaltrui reputazione di rete.
Questa fiducia naturale verso la persona-utente e verso la capacità della comunità di generare intelligenza è base fondante del fenomeno Wikipedia, lenciclopedia, libera, gratuita e neutrale secondo il punto di vista dei promotori, in cui a ciascun utente è affidata la facoltà, pressoché insindacabile, di inserire, aggiornare e modificare qualsiasi voce.
Mentre convince lidea virtuosa di ricorrere alla cooperazione in rete per condividere conoscenza, è lo status acquisito da Wikipedia, grazie al contributo di visibilità garantitogli dalle politiche di Google, a generare alcuni dubbi di fondo: possiamo affidare allutente, anzi alla folla, la classificazione di repertori e voci, i collegamenti tematici e, soprattutto, le definizioni di valore? Per una prima risposta, andate a leggere le voci che più vi interessano e valutatene la completezza e lattendibilità. Il desiderio di cliccare su modifica potrebbe risultare fortissimo.
Di fronte al rilievo del fenomeno, la comunità ecclesiale non appare impreparata. Oltre ai numerosissimi siti web cattolici che da tempo esprimono una presenza rilevante in Rete, di recente stanno nascendo alcuni servizi che possiamo etichettare web 2.0 anche in ambito religioso. Ma, proprio in un contesto di ampia partecipazione e condivisione, è importante non limitarsi ad iniziative di nicchia e stimolare invece una presenza ampia e senza confini, nelle modalità più consone alle condizioni, inclinazioni e caratteristiche di ciascuno.
Giovanni Silvestri, Responsabile SICEI Leo Spadaro, Consulente SICEI