Migrantes - Fondazione Migrantes
Storie a confronto nel cuore del Mediterraneo
Articolo di Maria Veronica Policardi
Foto di Mauro Buccarello
Foto di Mauro Buccarello


(23 gennaio 2013) - “La storia si ripete così come i comportamenti umani” diceva Machiavelli. In realtà gli eventi non dovrebbero mai ripetersi perché cambiano le circostanze in cui avvengono e soprattutto perché diversi sono gli uomini che si trovano ad affrontarli.                                                                        
A Lampedusa ancora non si è pronti a una vera e propria rivoluzione storica, quando con rivoluzione si vuole soprattutto intendere un cambiamento anche non tanto sconvolgente che però comporti una rottura col passato. Quando si sente parlare sempre degli stessi problemi, delle stesse carenze e delle stesse difficoltà, significa che quest’ultimo periodo storico seguita a protrarsi nonostante sia iniziato più di venticinque anni fa, quando Lampedusa fu al centro della cronaca internazionale per il tentativo da parte del colonnello Gheddafi di cancellarla con dei missili (15 aprile 1986). Lampedusa allora era sede di un centro Loran della guardia costiera statunitense e all’indomani dell’attacco libico, fortunatamente fallito, l’isola fu di colpo militarizzata. Da quel giorno si scoprirono le sue spiagge bianche, il suo mare turchese, la sua roccia africana, il suo buon pesce. Eppure Lampedusa è sempre stata al suo posto, fisicamente ad un passo dall’Africa, quindi moralmente lontanissima dall’Italia. Ed ecco che oggi bisogna dar ragione a Machiavelli e ammettere che realmente la storia si ripete, nonostante nel presente siano cambiati gli uomini e le circostanze. Ci si accorge di Lampedusa solo quando è al centro di decisioni d’interesse internazionale o testimone di migrazioni e per questo si mobilitano tutte le forze politiche e militari. Lampedusa diventa così importante che ogni notiziario la inserisce fra le notizie principali e a un tratto diventa la porta d’Europa, perché prima era solo l’estremo lembo dell’Italia e questo evidentemente non interessava. Il tutto è raccontato con molta freddezza, come se all’interno di questa porta non vivesse nessuno e l’unico interesse fosse di sapere numericamente quante persone vi entrano.
Qualcuno inizia a interessarsi alle storie di questi popoli a confronto e, come per magia, viene a conoscenza del nostro e del loro malessere. E intanto i veri protagonisti della storia, isolani e migranti, s’incontrano in piazza per discutere ognuno dei loro problemi, per rivendicare assieme i loro diritti e può anche capitare di non capirsi, di non condividere le rispettive opinioni, ma entrambi si accorgono di essere vittime dello stesso sistema, quello che da un giorno all’altro può decidere dei loro destini, può farli partire, rimanere o richiudere. E così i lampedusani raccontano delle numerose partenze che fanno durante l’anno per la mancanza di un vero ospedale e il rischio che corrono anche per una semplice malattia. Parlano dei giovani che, non avendo come impiegare il loro tempo, si avvicinano al mondo della droga e continuano a lamentarsi della nave che lentamente collega alla terraferma mancando spesso a quest’appuntamento. Raccontano delle grandi imprese che devono affrontare le donne per partorire e discutono delle spese che devono sostenere per far studiare i loro figli, costretti ad allontanarsi da casa appena tredicenni. Parlano del lavoro che scarseggia durante il periodo invernale e del caro carburante. Ma anche i migranti intervengono con le loro storie. Sono giovani costretti a lasciare le loro case e le loro famiglie in cerca di lavoro, sono donne incinte, costrette a partire per garantire un futuro ai loro figli, sono uomini costretti a fuggire perché continuamente bombardati, sono persone che muoiono per un semplice virus, sono popoli vittime di regimi totalitari, sono credenti perseguitati per la fede che vogliono manifestare e, ironia della sorte, sono lì ad aspettare anche loro che la nave arrivi con la speranza di poter continuare il loro viaggio. 
Dopo l’attacco di Gheddafi, la corsa a far diventare quest’isola turistica ci ha distolto dall’urgenza di risolvere molti problemi e dalla necessità di tutelare e conservare tutte le nostre risorse. Forse abbiamo iniziato a correre troppo presto e senza un buon allenamento, senza che fosse nelle nostre possibilità e adesso ci manca il fiato per andare avanti e rimaniamo fermi sempre nelle stesse offerte e ad aspettare che qualcuno ci aiuti. Ed ecco che, nonostante nell’arco di vent’anni gli uomini siano cambiati e le circostanze diverse, la storia si ripete, poiché nulla è cambiato o migliorato di quello che veramente è importante nella vita. Le storie e le lamentele di oggi sono le stesse di ieri e si ha la sensazione che saranno anche quelle di domani.                                       
Sembra però che le nostre idee vadano a giorni, anzi a “stagioni alterne”: quello che va bene d’inverno non va bene d’estate e quello che ci affligge d’inverno è messo da parte d’estate. Tutti siamo liberi di avere una nostra opinione, anche se la nostra può essere una voce fuori dal coro, ma non per questo bisogna restare nascosti o permettere agli altri di farsi isolare: anche il diritto di esprimere il nostro pensiero deve essere garantito. Ci si scontra sempre sulla convenienza di avere l’isola militarizzata considerandola una risorsa d’inverno e un fastidio d’estate, si discute se occuparsi dell’accoglienza dei migranti o di quella sicuramente più redditizia dei turisti, si passa dalla totale dedizione verso chi arriva dal sud, il nostro sud, alla totale attenzione verso chi arriva dal nord, il nostro nord. Come se le cose dovessero per forza andare in direzioni diverse, come se le due vocazioni non si potessero mai conciliare, come se questa terra non avesse le capacità per fare accoglienza turistica e accoglienza umana. 
Ancora siamo lontani dalla contaminazione, dal concetto di apertura e di Intercultura, perché a tutto bisogna essere educati e preparati, questo servirebbe almeno a evitare certe contraddizioni. Anche solo eliminare la paura dell’altro, che sia il migrante o il turista, non vederlo come un danno economico o come la sola fonte di ricchezza, potrebbe essere un buon inizio. Fortunatamente le cose positive di quest’isola e della sua popolazione sono tante e, anche se sono piccole a confronto, sono le piccole cose a darci speranza che uno spiraglio di sole può uscire anche dal cielo più grigio e che un nuovo periodo storico possa esserci per Lampedusa e il suo popolo.
(Maria Veronica Policardi - Periodico “Isola Bella”)
(Foto articolo)


Ultimo aggiornamento di questa pagina: 23-GEN-13
 

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