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Il contenuto
Cripta della Coloma nel Parco Güell a Barcellona, progetto di Antoni Gaudí, 1917.
Cripta della Coloma nel Parco Güell a Barcellona, progetto di Antoni Gaudí, 1917. "Ogni elemento appare sorprendente per organicità e novità".

Il volume raccoglie una serie di scritti pubblicati in Francia, nel periodo che va dal 1988 al 2000, come libri dall‘editoriale Mame (tali sono i primi due) e come articoli di Chroniques d‘Art Sacré, ordinati in successione non cronologica ma logica, per comporre un quadro d‘insieme che ben riassume il pensiero dell‘Autore.
 
Nella prima parte, Il rinnovamento dell‘arte sacra dal 1920 al 1962, le manifestazioni artistiche sono considerate in quanto testimonianza dell‘opera di rinnovamento che conduce verso il Concilio. Gli anni Venti sono presi quali momento di partenza poiché essi segnano un passaggio cruciale: alla ricostruzione del primo dopoguerra si accompagna la rapida espansione dei centri cittadini, l‘urbanesimo, con la crescita delle periferie operaie e in tale contesto sono molto numerose le costruzioni di chiese nuove e pongono problemi inconsueti, poiché esse si innestano su tessuti urbani spesso di scarsa qualità. Contemporaneamente l‘arte subisce la svolta dei tanti movimenti che si accavallano (postimpressionismo, simbolismo, fauvismo, cubismo, ecc.) nella ricerca di espressioni coerenti con un mondo sempre più dominato dalla tecnologia. E la Chiesa stessa, con Pio XI prima e Pio XII poi, cerca un dialogo più serrato col mondo delle Missioni e dei movimenti laicali.
In tale contesto emergono alcune proposte particolarmente significative, quali la produzione di Rouault (“senza dubbio l‘unico artista del quale si possa dire, senza reticenze, che era cristiano”), e le nuove chiese che risentono della cultura del Bauhaus (quali quella del Santissimo Sacramento ad Aquisgrana, progettata da Rudolf Schwarz).
 
Tuttavia, nota Debuyst, il rinnovamento in campo architettonico era da tempo in atto, con realizzazioni quali ad esempio la Cripta di Santa Colma nel parco Güell a Barcellona, di Antoni Gaudí, che è presentato quale uno dei momenti germinali dell‘architettura organica: “molto più”, secondo Debuyst, della più nota Sagrada Familia.
 
Ma, nel discutere le manifestazioni architettoniche che ritiene più congeniali con le necessità dell‘epoca, Debuyst insiste in particolare sull‘opera di Emil Steffan, insieme con Schwarz partecipe dell‘esperienza del Castello di Rothenfels e autore di opere quali la “chiesa fienile” di Boust in Lorena, ritenuta da Debuyst uno dei vertici della progettazione improntata al rispetto della liturgia comunitaria e contemporaneamente luogo capace di esprimere anche esteriormente lo “essere nel mondo” senza sfarzo, bensì con la misura e la dedizione che richiede il concetto di “nobile semplicità”. In questo si manifesta la particolare caratteristica del “genius loci cristiano”: un argomento, pur centrale nell‘architettura delle chiese, tuttavia trattato nella sua complessità soltanto da Debuyst.
 
Una delle singolarità degli scritti di Debuyst risiede nella familiarità con la quale egli tratta assieme, quali elementi costitutivi del luogo di culto, architettura, liturgia, opere d‘arte e gli oggetti per il culto. Così, un ruolo importante ravvisa nell‘impegno di p. Couturier, a cui si deve tra l‘altro un “unicum” quale la chiesa di Plateau d‘Assy in Alta Savoia (fine anni ‘40) dove, entro un‘architettura tipicamente montana, collaborano Rouault, Bonnard, Léger, Lurçat, Matisse, Chagall, Bazaine, Germaine Richier e altri tra i maggiori artisti dell‘epoca, che ne fanno un raro esempio di quanto l‘arte contemporanea può ottenere là dove la direzione è in mano a un committente competente.
 
L‘analisi di Debuyst relativa a questo periodo preconciliare si rivolge in particolare a opere centro-europee, soprattutto tedesche e svizzere. Tuttavia, tra le tante opere citate compare anche la chiesa di Baranzate di Bollate (Milano) progettata da Mangiarotti e Morassutti e realizzata nel 1956 secondo criteri non estranei a quelli del design industriale e della prefabbricazione. A dimostrazione di come la forma della chiesa non richieda imponenza, monumentalità o sfarzo, bensì poeticità: e questo è uno dei Leit Motiv di tutti gli scritti di Debuyst.
 
Nel contesto del racconto delle tante architetture incentrate sul concetto di assemblea di “circumstantes”, risaltano le descrizioni della basilica di San Pio X a Lourdes (degli architetti Vago, Le Donné e Pinsart, composta nel 1958 su una pianta a ellissi allungata nel cui centro sta un presbiterio con altare e ambone, raro esempio di chiesa contemporanea di grandi dimensioni il cui risultato è armonico e proporzionato) e della chiesa del priorato San Luigi nel Missouri (del 1961, progettata da Gyo Obata con il supporto tecnico di Pier Luigi Nervi su una pianta circolare che si eleva in tre corone di archi parabolici di grande espressività, non priva di misurata monumentalità).
 
Il secondo scritto, L‘arte cristiana contemporanea dal 1962 a oggi, considera il periodo del Concilio e successivo, fino alle soglie del nuovo millennio. Nel riassumere le linee guida della Costituzione sulla liturgia (Sacrosanctum Concilium), Debuyst ricorda che obiettivo di questo era “preparare l‘unione di tutti i cristiani” oltre a rinnovare il dialogo col mondo contemporaneo. Obiettivi che si riflettono anche nelle architetture ecclesiali, che sono una delle manifestazioni più evidenti della Chiesa e che risentono di due influssi: l‘uno, quello delle “costruzioni dalle forme simboliche o ‘liriche‘ che, per la maggior parte dei fedeli (e dei non credenti) esprimono il tipo stesso di chiesa moderna”; l‘altro, quello da Debuyst ritenuto più consono al messaggio che oggi la Chiesa è chiamata a dare al mondo, “realizzazioni... discrete e raffinate, più vicine all‘architettura domestica che a quella pubblica, che tendono a unire il rigore costruttivo a una poesia interiore e a un grande rispetto per l‘ambiente”. Di qui il fatto che, nella sua esposizione, l‘Autore parta da un esempio di comunità aperta al dialogo ecumenico, quale quella di Taizé.
Le diverse chiese, e opere d‘arte a queste correlate, che esamina, sono bensì comprese come espressioni di gruppi affiatati e quindi capaci di prendere parte con sinergica coralità alle celebrazioni, nelle quali il fedele è chiamato a essere non spettatore ma attivo partecipante, ma sono anche viste come modelli cui col tempo, pian piano, anche le chiese parrocchiali tenderanno a somigliare. Significativo è il fatto che si parli anche di un progetto per un centro parrocchiale elaborato a Torino nel 1967 dagli architetti D. Bagliani, A. Bersato Begey, V. Corsico, F. Delpiano, S. Girodi, E. Roncarolo, vincitore di un concorso per quanto poi non realizzato: la qualità comunitaria del progetto è ravvisabile non semplicemente nell‘assetto liturgico della chiesa ma nell‘organizzazione di tutto il complesso architettonico.
  
In tale ambito sono pubblicati anche diversi esempi di adeguamenti liturgici su chiese esistenti degli anni ‘60-‘70, dove i progettisti, a volte operando una rotazione di 90° dell‘asse centrale della chiesa per disporre il presbiterio sul lato lungo, sono riusciti a ottenere una sistemazione coerente con l‘architettura esistente e allo stesso tempo maggiormente coinvolgente ed espressiva della celebrazione comunitaria.
 
Sono mostrati altri esempi di edifici di nuova costruzione, in cui l‘interpretazione liturgica è decisamente prevalente sull‘espressività architettonica, quali la cappella degli studenti dell‘abbazia di Melk in Austria, progettata da Ottokar Uhl nel 1966, dove lo spazio è organizzato in modo tale da prevedere che i fedeli siano seduti di fronte all‘ambone per le letture, e quindi si spostino raccogliendosi in piedi attorno all‘altare per l‘Eucaristia.
 
Gli scritti raccolti nelle parti successive del volume prendono in considerazione realizzazioni più recenti, tra le quali alcune segnalatesi nel contesto del Premio Frate Sole, istituito in Pavia dal noto artista francescano Costantino Ruggeri e dedicato esclusivamente all‘architettura sacra.
La conclusione è introdotta un‘intensa commemorazione dell‘opera di Romano Guardini, della quale è ribadita l‘attualità. Questa parte è preceduta da una citazione di Giovanni Crisostomo (a.D. 344 - 407) a sottolineare la coincidenza del messaggio conciliare con il legato dei primi secoli di testimonianza cristiana, e include uno scritto sull‘altare, inteso quale essenza vera dello spazio liturgico, cuore della celebrazione attorno al quale tutto il resto ruota.
Gli elementi di dialogo attorno a cui si muove il pensiero di Debuyst sono espressi da questa alternativa, tra purezza della forma ed espressività artistica: “o subordinare rigorosamente l‘altare all‘architettura e dargli la struttura più pura possibile (che non è poco); oppure andare oltre e tentare di fargli esprimere qualcosa del suo misero interiore, delle sue virtualità latenti”.
Nella Presentazione del volume, don Aldo Marengo evidenzia di Debuyst la “fedeltà al Concilio” e il suo desiderio di approfondirne gli insegnamenti, al punto che ai suoi scritti si è assiduamente ispirata l‘azione dell‘Ufficio Liturgico dell‘Arcidiocesi di Torino, che Marengo ha diretto dal 1966 al 2000.
 


Ultimo aggiornamento di questa pagina: 23-LUG-12
 

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