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Soeurs de Sainte-Marie, Jambes (Belgio). Architetto Roger Bastin (1963).
Soeurs de Sainte-Marie, Jambes (Belgio). Architetto Roger Bastin (1963).

«Quando Gesù (durante l‘ultima cena) raduna attorno a sé la comunità messianica e la provvede di tutto ciò che è necessario alla sua vita, non parte dal servizio sacrificale della grande liturgia del tempio... Il suo riferimento è un contesto domestico...». Nel suo intervento in apertura del convegno, il p. Frédéric Debuyst, attraverso questa citazione di Heinrich Kahlefeld ha voluto porre l‘accento sull‘altare come luogo attorno al quale si riunisce una “assemblea vivente” nell‘ascolto e nella comunione, evidenziando dell‘altare anzitutto il carattere “personalistico”, contrapposto all‘altare pagano visto come alcunché di “cosificato”. «Al tempo stesso “soglia” e “tavola”, come spiga Guardini, l‘altare resterà certamente un oggetto... ma sarà a tal punto segnato dalla presenza e dal mistero personale di Cristo che nel suo simbolismo segreto tenderà a rivestire anch‘esso le caratteristiche della presenza del Signore: dignità e integrità senza incrinature, ma anche mitezza ed estrema discrezione». Una serie di esempi storici confortano l‘argomento: la descrizione dell‘archeologo e patrologo Frédéric Van der Meer su come doveva celebrare sant‘Agostino in Ippona: su un altare piccolo che si «irradi tutto intorno e non solo frontalmente», in un clima pasquale luminosissimo. Di qui anche l‘affermazione che lo spazio celebrativo paleocristiano e medievale si orienta non secondo un davanti e un dietro, bensì secondo un centro: quel che è stato ripreso dal Movimento liturgico in età contemporanea. Debuyst privilegia la poeticità del silenzio, rispetto ai tentativi di caricare di tanti formalismi l‘altare: «se si crede di poter esprimere tutto... si rischia di far saltare il segno sacramentale...».
 
Paul De Clerck, nel presentare i riti della dedicazione, ha posto diversi problemi tra i quali quello del «paradosso... tra l‘esigenza di un‘eucaristia più fraterna, celebrata attorno alla tavola del Signore, e la costruzione di altari di pietra» intesi quali luoghi del sacrificio: non solo nella collocazione, nella iconografia e nelle dimensioni, ma anche nel materiale l‘altare “parla” al cuore dei credenti. Gli altari più antichi erano tavole del convivio.
E su questo problema si è sviluppato l‘intervento di Enrico Mazza, secondo sue linee direttrici: altare o tavola? La lunga e dettagliata analisi storico liturgica, dagli altari pagani a quelli paleocristiani, porta a concludere che i due termini coesistono nell‘unico luogo liturgico: altare e tavola. La forma infatti mantiene il rapporto con la tavola di Gesù nel cenacolo, e su di essa si svolge il sacrificio eucaristico.
Panayota Volti ha esaminato la collocazione dell‘altare nella chiesa, oltre che la forma e il decoro degli altari antichi, indagando tra l‘altro il rapporto tra altare e abside nei vari momenti storici.
Nella relazione svolta da Anne Da Rocha Carneiro in merito ad alcuni altari postconciliari in Francia e Belgio, ricorrono termini quali “nobile semplicità”, “sobrietà”, “misura umana”, “calma e silenzio”, “semplicità”, “equilibrio”... Tra gli esempi discussi, un altare realizzato da Roger Bastin a Jambe, presso Namur, nel 1963: la pianta è intesa a far sì che l‘assemblea vi si raccolga attorno, a cerchio, perché il progettista ritiene che questa sia la “forma che assume ogni assembramento di folla per ascoltare un oratore e per partecipare a un evento”.
 
Tra gli altri esempi più significativi, si segnalano gli “altari di luce”, che per forma e materiale risaltano nel contesto della chiesa. Come quello nella cappella di Sainte-Bernardette  a Lourdes, realizzato da Dominique Kaeppelin, in forma ottagonale, di legno scolpito e dorato, su una pavimentazione appositamente studiata per accompagnarne la forma. «... L‘ottagono facilita la disposizione dei presbiteri durante le concelebrazioni» commenta al proposito la Da Rocha Carneiro.
Per l‘area svizzera, Daniel Schönbächler prende in considerazione alcuni altari di chiese parrocchiali e della nota cappella di Sogn Benedegt a Sumvitg, opera di Peter Zumthor.
 
Ed esamina alcuni adeguamenti liturgici. Per esempio la chiesa parrocchiale di Sankt Martin a Malters, vicino a Lucerna, edificata a metà del XIX secolo e rinnovata tra il 1975 e il ‘77.
Grazie all‘ampiezza della navata si è trovato lo spazio per protendere in avanti la pedana presbiterale e disporre banchi ai lati di questa. Nota Schönbächler: «Una caratteristica tutta svizzera riguarda la collocazione del fonte battesimale che, attenendosi alla tradizione degli zwingliani, anche nelle chiese cattoliche fu spostato nel coro».
Gli altari di Austria e Germania sono stati presentati da Walter Zahner, che si è riferito anzitutto all‘inedito Memorandum sull‘arte cattolica, stilato da Hans Sedlmayr nel 1962 in cui si dice tra l‘altro “La domanda fondamentale non è se un‘opera d‘arte sia insolita, bensì se essa sia non conforme allo spirito della chiesa cattolica”. Secondo Zahner, gli altari costituiscono un momento di mediazione tra arte contemporanea e ambiente della chiesa. Tra gli esempi presentati, la chiesa di Sankt Florian a Graz-Seckau in Austria (dei primi anni ‘90) dove Volger Giencke ha posto un altare di vetro contenente prismi che grazie alla rifrazione rendono visibile la mensa trasparente; questa durante la celebrazione si rende presente “come volume” grazie alla tovaglia che la copre.
 
Nell‘area di lingua tedesca sono molte anche le chiese con disposizione a Communio-Raum, di cui se ne presentano due tedesche: Sankt Anton di Passau e Sankt Franziskus di Bonn.
 
Concludendo con un appello perché la chiesa prenda «sul serio» il ruolo di committente formulando con chiarezza «dove devono essere fissati i confini», ma procedendo senza paura nel dialogo con gli artisti.
Parlando della situazione in Italia, Mons. Giancarlo Santi ha rilevato che qui gli esiti della riforma liturgica si sono ravvisati quasi esclusivamente nella revisione della positura dell‘altare, a scapito della dovuta attenzione sulla qualità artistica dei manufatti e sulla presenza degli altri luoghi liturgici, oltre che del rapporto tra questi. Nella sua presentazione Mons. Santi ha anche presentato alcuni adeguamenti liturgici in cattedrali del Triveneto.
In conclusione tuttavia si nota che «L‘altare progettato nella cattedrali del Triveneto è in sostanza un altare tridentino semplificato». Quale possibile prospettiva futura si indica l‘ipotesi di “laboratori interdisciplinari di ricerca” sulla scorta di quanto realizzato nella commissione diocesana per l‘arte sacra a Torino.
Massimiliano Valdinoci ha presentato altri esempi di altari di recente fattura in Italia, tra i quali quello della chiesa di San Clemente a Baruccana di Seveso (MI) dello studio Gregotti Associati. Qui lo spazio dell‘aula risulta tutto “direzionato” verso l‘altare che appare come un blocco unitario di marmo.
Per discutere la situazione nella Chiesa d‘Inghilterra, David Stancliffe ha portato in particolare l‘esempio della cattedrale di Portsmouth, del cui completamento egli si è occupato.
 
Il concetto fondante è stato di «modellare una chiesa pellegrina» che si riunisce nella nuova navata per riflettere sulla Scrittura per poi spostarsi nel corpo storico dell‘edificio per proseguire con la liturgia della Parola e raccogliersi attorno all‘altare per l‘azione Eucaristica e ritornare quindi nella navata per il congedo. Ciascuno degli spazi considerati ha un proprio punto focale. L‘elaborazine degli spazi liturgici della cattedrale è stata compiuta insieme con un gruppo di architetti, musicisti, liturgisti e persone della comunità.
Che la liturgia sia essenzialmente azione, «essere com-presi in un movimento processionale» è stato il centro dell‘intervento di Klemens Richter che ha notato come nel «vecchio rito» col tabernacolo posto sull‘altare, il presbiterio “trainava” la comunità verso la presenza del SS. Sacramento. Mentre ora, col rinnovamento liturgico, il rito si incentra oltre che sui rapporti tra Dio e l‘uomo, anche sui rapporti «tra uomo e uomo». La distribuzione dello spazio riflette o una gerarchizzazione o la comunicazione tra tutti coloro che sono veramente concelebranti.
Riprendendo il tema della direzione della preghiera e della centralità dell‘altare, Reinhard Messner ha notato che il centro dell‘assemblea celebrante è in realtà “ec-centrico”, «vale a dire, non si lascia rappresentare semplicemente con accorgimenti architettonico-scenici». Con la sua “eccentricità” l‘altare è luogo che «tiene aperto il ritorno di Cristo ancora mancante ma anticipato simbolicamente nella celebrazione eucaristica».
C‘è un aspetto estetico nell‘altare, ma questo è preceduto dalla concezione teologica, ha spiegato Albert Gerhards. «La comunione alla tavola dell‘eucaristia cristiana non è virtuale, ma reale-simbolica. È per questo motivo che l‘altare è anche il centro della comunità». Il problema è come riuscire a esprimere nella composizione dello spazio fisico e dell‘azione che vi si svolge, contemporaneamente la comunione, raffigurata nel raccogliersi attorno a cerchio, e l‘apertura della comunità alla comunione con Dio.
Sull‘estetica dell‘altare sono intervenuti Glauco Gresleri, che ha tra l‘altro evidenziato come questo sia l‘elemento germinale dello spazio della chiesa («... la definizione della composizione plastica dell‘altare debba quasi essere propedeutica alla definizione della spazialità della chiesa e alla sua conformazione architettonica...») e Jean-Yves Hamaline il quale ha sostenuto che «la poetica dell‘altare è il suo rapporto a se stesso, alle sue tre dimensioni, la sua giustezza immanente, la sua pressione autogena che degenerazioni decorative o diversioni allegorizzanti possono corrompere». Riconducendo il discorso a quello iniziale proposto da Debuyst sull‘altare come espressione di modestia virtuosa, luogo ricco di silenzio, dove si incontra «l‘intelligenza muta della filantropia divina».
 


Ultimo aggiornamento di questa pagina: 17-LUG-12
 

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