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Jürgen Kröger e Paul Wollburg, St. Michael, Brema, 1900. Un esempio di architettura storicistica neogotica.
Jürgen Kröger e Paul Wollburg, St. Michael, Brema, 1900. Un esempio di architettura storicistica neogotica.

Lo scritto segue l‘evoluzione storica del periodo preso in considerazione, attraverso esempi cruciali proposti in prevalente successione cronologica con puntuali richiami alle illustrazioni dei medesimi, che sono pubblicate nella seconda parte del volume. L‘esposizione pertanto va letta consultando passo passo il vasto apparato iconografico che la correda.
Partendo con la domanda: come si affaccia l‘architettura di chiese in Germania - o in Europa - alla soglia del XX secolo? Si esamina la transizione dall‘atteggiamento storicistico (che in Germania ha comportato la riproposizione del gotico),
  
in cui i progetti delle chiese erano concepiti come riproposizione di archetipi consolidatisi a seguito della frattura avvenuta tra Chiesa e mondo dell‘arte in epoca illuministica, alla ricerca operata in sintonia col movimento liturgico da architetti che accoglievano la lezione della contemporaneità.
Al proposito, momenti di passaggio significativi sono considerate le opere viennesi di Otto Wagner e di Jože Plecnik, in cui, entro la maestria progettuale espressa secondo i criteri stilistici dell‘Art Nouveau, si ravvisa la ricerca di un impianto di chiesa che consenta di “rendere il rito più vicino ai fedeli”. Il che, per esempio nella chiesa dello Spirito Santo di Vienna, Plecnik ottiene grazie alle capacità strutturali del cemento armato che permettono di eliminare le colonne che separano le tre navate, rendendo in tal modo diafano lo spazio e conferendo maggiore unitarietà al luogo della celebrazione.
 
Questi sviluppi esprimono l‘inizio di una variazione nella configurazione dello spazio cultuale post tridentino che, per contrapposizione alla Riforma, era incentrato sul tabernacolo eucaristico e su una marcata separazione tra presbiterio e navata.
L‘A. ripercorre i “luoghi fonte” del movimento liturgico, il quale com‘è noto aspira a riprendere, aggiornandola, l‘organizzazione originaria della liturgia cristiana. Il movimento liturgico trova un terreno di coltura propizio in particolare nelle abbazie benedettine di Beuron e di Maria Laach, e non a caso Romano Guardini soggiornò nella prima nel 1906 e nella seconda dodici anni più tardi scrisse il suo “Vom Geist del Liturgie” (Lo Spirito della Liturgia), che resta una pietra miliare del pensiero liturgico.
Ripercorrendo diversi scritti di Guardini, l‘A. riesamina in dettaglio la seminale esperienza del Castello di Rothenfels e del modo in cui qui, la Cappella e la Stanza dei Cavalieri furono ristrutturate sotto la direzione di Rudolf Schwarz, divenendo esempio principe dello spazio “cristocentrico”.
 
Ma l‘analisi non si limita al tema dell‘organizzazione del luogo liturgico, bensì indugia su tutti gli elementi che lo costituiscono: Schwarz pose molta attenzione sul tema della luce come parte costitutiva fondamentale dell‘architettura e a Rothenfels si impegnò anche nel disegno degli oggetti liturgici, la cui presenza contribuisce a donare il senso loro proprio, sia al luogo, sia al momento della celebrazione.
 
Alla “scuola” di Maria Laach si era recato anche Martin Weber (1890-1941) che nel ‘21 fondò con Dominikus Böhm, che era stato suo docente di architettura, l‘Atelier für Kirchenbaukunst (Studio per la progettazione di chiese), ispirandosi alle riflessioni di van Acken. Queste non si limitavano a sostenere la preminenza dell‘altare entro lo spazio della chiesa, ma auspicavano anche una manifestazione esteriore di tale organizzazione interna: “La nuova chiesa doveva risultare con tutta evidenza una Messopferkirche, una chiesa per il sacrificio eucaristico. Per contro le devozioni popolari dovevano essere relegate negli spazi più laterali e defilati” (pg. 39).
I due progettisti daranno luogo a diversi progetti di studio e realizzazioni che seguono tali principi, che porteranno a compimento assieme o separatamente. Tra gli studi si segnalano Lumen Christi, Atrium e Circumstantes.
 
Tra le realizzazioni la chiesa di St. Bonifatius a Francoforte, firmata da M. Weber nel 1927 e la chiesa di St. Engelbert a Colonia, firmata da D. Böhm nel 1932.
 
Anche Otto Bartning in questo periodo si impegna nella formulazione di progetti a carattere cristocentrico e coerenti con lo stato dell‘arte architettonica dell‘epoca. Da cui nasce la chiesa della Resurrezione di Essen, del 1930.
 
Tra i diversi esempi di diversi autori presi in considerazione, l‘A. pone in un posto di particolare rilievo quello della chiesa del Corpus Domini ad Aachen, al cui progetto R. Schwarz prese a lavorare a partire dal 1929.
 
In quest‘opera si evidenzia come l‘uso del cemento armato consente muri relativamente sottili che definiscono un ambiente la cui atmosfera è armonizzata dalla luce solare e da quella delle lampade sapientemente disposte. Di tale chiesa, il cui spazio si presenta “vuoto” R. Guardini ha scritto: “Questo non è vuoto, questo è silenzio! E nel silenzio c‘è Dio”.
Dopo gli anni della dittatura, in cui il regime sostenne l‘approccio storicistico ai progetti di architettura, la ricostruzione postbellica vide il fiorire delle ricerche portate avanti nell‘ambito del movimento liturgico, in molteplici progetti. In coerenza con quanto scritto in più occasioni dal liturgista benedettino Frédéric Debuyst, l‘intensa carrellata presentata da A. Marchesi si conclude con la chiesa di San Lorenzo a Monaco di Baviera progettata a metà degli anni ‘50 da Emil Steffann (considerato il più diretto erede di R. Schwarz) insieme con Siegfried Östreicher e la consulenza liturgica di Heinrich Kahlefeld (“il più brillante fra gli allievi di Guardini e successivamente esperto di liturgia al Concilio Vaticano II”).
 
Come spiega Kahlefeld, la chiesa dovrebbe dare l‘idea di un luogo tanto coinvolgente quanto quello in cui si riunisce una famiglia. E, secondo Debuyst, quella di San Lorenzo a Monaco è una chiesa-casa in cui “Si attualizza... in una splendida trasposizione ecclesiale, l‘immagine prima e fondamentale dell‘Eucaristia, quella immagine che Romano Guardini aveva sempre rimpianto, rammaricandosi che nel corso dei secoli fosse diventata così poco visibile” (citato da F. Debuyst, “Chiese, Arte, architettura, liturgia dal 1920 al 2000” pag. 59, Milano 2003).
 


Ultimo aggiornamento di questa pagina: 22-GIU-12
 

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