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Senso critico contro un‘informazione malata



Era una battuta, piuttosto lu­gubre, ma allora - erano gli anni Sessanta - circolava co­me un titolo di merito. «‘Bild‘ è stato il primo a parlare con il ca­davere » era il vanto. E si diceva che i cronisti del vendutissimo ta­bloid tedesco (oggi 5 milioni di copie al giorno) andassero a noz­ze con i fatti di nera più truci, gli scandali e i disastri naturali: noti­zie succulente su cui piombavano con strabiliante puntualità e che poi sapevano montare ad arte.
Certo quelli del ‘Bild‘ forse esage­ravano ma in fatto di notizie sen­sazionali non avevano inventato nulla. Raccontare per primi, stril­lare o incantare il prossimo con u­na mostruosità fanno parte di un savoir faire vecchio quanto il mondo. Certo è che negli ultimi cinquant’anni proprio quest’arte si è perversamente raffinata. Il mondo della comunicazione è di­ventato un arsenale di cronache da sparare ad alta pressione, noti­zie attinte là dove lo shock, il re­cord, il limite, il dolore, le lacrime, le bestemmie, lo strazio della morte o la distruzione sono così acuti e penetranti da diventare un’iniezione multisensoriale.
L’informazione e in genere la co­municazione hanno rovesciato la logica delle notizie: dal comuni­care qualcosa perché importante – perché riguarda tutti – si è ap­prodati alla fabbrica delle noti­zie che attinge a ciò che può attrarre l’atten­zione, diventare spettacolare o sconvolgente. Sen­sazionale. Tanto che persino l’ori­ginale significato fisiologico di sensazione, cioè percezione co­mune, è scivolato in ciò che in modo magnetico attrae su di sé la percezione. E cioè proprio il sen­sazionale, lo spettacolare che da caso limite diventa la norma. Sia­mo in una società eccitabile ed eccitata, per dirla con Christoph Türcke, professore di filosofia all’Accademia di Arti visive di Li­psia che al tema ha dedicato un’imponente analisi pubblicata da Bollati Boringhieri ( La società eccitata. Filosofia della sensazione, pagine 352, 43 euro). La volontà di impressionare a tutti i costi con stimoli progressivamente più pe­netranti non è solo una deriva dell’informazione, della pubbli­cità o dell’industria culturale; in tutte le forme delle relazioni quo­tidiane, dove il risvolto mediatico è onnipresente, c’è la consapevo­lezza che chi non attrae su di sé l’attenzione altrui, chi è ignorato, è destinato a non esistere. Nella società tecnologica avanzata del­­l’essere è essere percepiti – in cui a ciascuno si impone di essere un ricetrasmittente e persino – «esserci» diventa un incubo, una lotta per l’attenzione, dove il ci è quel un vortice di forza vitale col­lettiva che non tollera l’inattività, la non trasmissione, cioè il vuoto.
Il grigiore di una vita di basso pro­filo e sottovoce. Ed ecco l’esisten­za trasformarsi in una coazione frenetica al fare, a essere in onda, sollecitati da stimoli sempre più forti e a propria volta stimolanti.
Niente di nuovo sotto il sole. Nel rivoluzionamento ipertecnologi­co – ritiene Türcke – non si posso­no non vedere i segni di una re­gressione all’arcaico. A quel mon­do preisto­rico in cui i primi uo­mini reagi­vano al ter­rore degli animali fe­roci con i graffiti, una sorta di coazione a ripeterne l’immagi­ne. Un meccani­smo simile a quello che molto più tardi Freud associò alla nevrosi da trauma. Immortalati sulle pareti delle caverne, quelle fiere diventa­vano una presenza costante e controllabile. Del resto quei bom­bardamenti di stimoli violenti, quale doveva essere la vita prei­storica, temprarono la corteccia cerebrale dell’homo sapiens, ren­dendo quell’amalgama di cellule nervose grigie, sede delle presta­zioni mentali, uno scudo di prote­zione al cervello. Il primo aneste­tico dei sensi della storia umana.
Esattamente ciò che succede, se­condo il filosofo tedesco, in una modernità in cui irrequietezza e fermento si ingorgano al punto che la percezione, sotto la pres­sione di stimoli sempre più forti, vive stati prolungati di assuefazio­ne. E, come per le droghe, neces­sita di stimoli sempre più scioc­canti per tener desta la soglia di eccitabilità. Peccato che il con­traccolpo sulle sensibilità, le iden­tità e le esperienze personali sia devastante. «Ciascuno irradia qualcosa – spiega Türcke – ben­ché i rumori del suo corpo siano così lievi, il suo respiro così flebile, il suo atteggiamento, la sua ge­stualità, la sua mimica così inap­pariscenti da risultare quasi im­percettibili ». Cosicché mentre nel gran bailamme le esperienze si­gnificative e autentiche si perdo­no o non arrivano al livello di per­cezione generale, più banalmente si fanno strada forme di ribellione sociali (dai tatuaggi al piercing al­le tossicodipendenze fino alle av­venture estreme della violenza e dell’odio senza movente) che hanno il sapore della rivolta all’in­differenza e all’assuefazione sen­sitiva. Consapevole che non si possa semplicemente invocare l’astinenza contro il diluvio au­diovisivo, ormai inarrestabile, Türcke suggerisce la manovra al­ternativa: vaccinarsi con un do­saggio sapiente di capacità critica che agisca da freno. La consape­volezza, anche se in dosi omeopa­tiche, è un veleno che permette al flusso del mondo liquido di fronteggiarlo e di non esserne travolti.
 


Ultimo aggiornamento di questa pagina: 11-APR-12
 

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