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Il progetto della Domus Pacis a Roma (Felice Bardelli e Ildo Avetta, 1949) nella stampa associativa
Il progetto della Domus Pacis a Roma (Felice Bardelli e Ildo Avetta, 1949) nella stampa associativa

Il periodo preso in esame dai due Autori va dal 1948 al 1978. Il primo anno segna, nella storia dell‘appena nata Repubblica italiana, l‘inizio del periodo in cui la vita politica è segnata dal peso preponderante della Democrazia Cristiana mentre sullo scacchiere internazionale cova la “guerra fredda” tra le due superpotenze. L‘anno conclusivo è stato scelto in quanto segna l‘inizio del pontificato di Giovanni Paolo II, col quale la Chiesa universale conosce un atteggiamento nuovo. In realtà le indagini dei due Autori si incentrano soprattutto negli anni ‘50 e ‘60: l‘età in cui i grandi protagonisti del mondo cattolico (Pio XII, il card. Giacomo Lercaro, Giovanni XXIII, Mons. Giovanni Battista Montini poi Paolo VI, Luigi Gedda, l‘Azione Cattolica...) si trovano ad affrontare le asprezze di una società povera ma in forte crescita, e di una condizione politica in cui incombe la minaccia dello stato comunista e materialista oltre cortina, coi suoi sostenitori ideologici in patria.
 
 
Tosco firma il primo dei due saggi che compongono il volume, prendendo in considerazione le peculiarità italiane, nel contesto panorama delle proposte architettoniche contemporanee in campo ecclesiale. Il fatto che in Italia stia il centro del Cattolicesimo comporta un‘assunzione di responsabilità particolarmente forte al momento in cui il committente si attiva per dotare di nuove chiese le città, semidistrutte dal conflitto ma in forte espansione. Tosco si concentra sull‘opera dei principali maestri dell‘architettura dell‘epoca, notando tuttavia che, a differenza di quanto avviene in Germania (che è l‘inevitabile termine di confronto), qui da noi non vi sono “padri fondatori” delle chiese contemporanee, quali oltralpe sono stati Rudolf Schwarz o Emil Steffan. Né vi sono precise scelte tipologiche, né si riscontra una diffusione molto ampia del Movimento liturgico. Alla radice dell‘impegno di edificare nuovi luoghi che manifestassero il ruolo fondante del mondo cattolico (non solo chiese, ma centri parrocchiali, conventi, case di accoglienza, centri culturali) si pone l‘invito di Pio XII di “uscire dal letargo”. Il che implica la richiesta di alta visibilità, quale manifestazione del nuovo ruolo dei cattolici nella vita pubblica italiana: un ruolo ben più importante di quanto mai lo fosse stato, dall‘epoca dell‘unità d‘Italia.
Sullo sfondo di tali aspirazioni si muovono i tentativi di recepire i suggerimenti provenienti dal Movimento liturgico, che vanno nella direzione di proporre chiese che esaltino, nella loro struttura, la “attiva partecipazione” dell‘assemblea. Ed ecco dunque, da un lato la ricerca di una monumentalità in linea con le grandi opere del passato, e contemporaneamente, dall‘altro lato, la tendenza a riscoprire la dimensione più “domestica” della chiesa.
Avendo in mente questa tensione, Tosco esamina l‘opera di diversi progettisti. Tra questi Saverio Muratori, autore della sede della Democrazia Cristiana all‘Eur e di progetti di chiese (in fondo non molto distanti da alcuni tra quelli prodotti da Schwarz in Germania) in cui si cercava di contemperare il linguaggio contemporaneo con organismi architettonici comparabili con le opere del passato. Su linee simili si muove Giovanni Muzio a Milano, città dove peraltro operano anche altri, quali Figini e Pollini, più marcatamente schierati con le nuove istanze rappresentate dal Centro studi stabilito a Bologna alla metà degli anni ‘50 dal card. Lercaro, che si esprimeva attraverso la rivista “Chiesa & Quartiere”. Nel rievocare l‘opera di G.B. Montini a Milano, Tosco mostra come il Concilio Vaticano II e la Costituzione conciliare sulla Santa Liturgia “Sacrosanctum Concilium” siano da collocarsi nel contesto dell‘ampio dibattito che da tempo era in corso nella Chiesa.
 
Longhi firma il secondo saggio, incentrato sul ruolo dell‘associazionismo cattolico. Qui sono analizzate architetture ecclesiastiche intese quale esito stratificato di iter complessi attivati da un sostrato sociale e storico in cui si muovono l‘Unione Cattolica Artisti Italiani (Ucai), l‘Azione Cattolica col suo Movimento Laureati, la Federazione Universitaria Cattolica (Fuci), mentre la Pontificia Commissione Centrale per l‘Arte Sacra in Italia (Pccasi) esercita un ruolo di indirizzo che peraltro risente del variare dei tempi man mano che ci si allontana dalla fine della guerra e ci si approssima al Concilio. Molto importante risulta la minuziosa ricostruzione storica svolta sul ruolo ricoperto da Luigi Gedda nei progetti a Roma per la Domus Pacis, per la Domus Mariae, per la sede del Consiglio Centrale dell‘Unione Donne di Azione Cattolica. I concorsi ad hoc istituiti vedono contrapporsi progetti in cui predomina ora la tendenza storicistica, ora la propensione innovativa, in ogni caso dando luogo ad architetture pensate e vissute fino in fondo, sia dai committenti, sia dagli architetti, pregne di tutte le tensioni ideali e di tutte le limitazioni ideologiche di un‘epoca di fortissimo spessore morale. Ed ecco che l‘architettura della sede del Consiglio Centrale Unione Donne di A.C. (oggi sede della Conferenza Episcopale Italiana), firmato da Luigi Vagnetti, in cui spicca la cappella a pianta ottagonale, si presenta come il risultato di un dibattito intenso in cui si sommano gli influssi del “laboratorio bolognese” che rappresentava negli anni ‘50 l‘avanguardia del pensiero architettonico quanto a rapporto chiesa-liturgia e chiesa-città, e la tendenza alla conservazione di moduli aderenti alla tradizione architettonica italiana.
Laddove invece in opere come San Leone Magno al Prenestino, progettata da Giuseppe Zander, si ravvisa più netto il riflesso dell‘impulso originato da Pio XII per una Chiesa fondata sul rispetto della tradizionale struttura basilicale, a testimonianza di una presenza autorevole e fortemente radicata. Il dibattito aperto vedeva confrontarsi posizioni divergenti, ma mai contrapposte in modo frontale o escludente, così da dar luogo a un reciproco arricchimento.
Tanto intensi e ampi sono i dibattiti intrecciatisi prima e durante l‘epoca del Concilio, che, una volta che questo ha prodotto i documenti volti a dare un chiaro orientamento all‘azione liturgia e pastorale, sembra quasi che il vigore manifestatosi nelle architetture preconciliari, si riduca. Almeno fin quando il Committente ecclesiale non tornerà, in anni più recenti, a richiedere un rinnovato impegno di testimonianza attraverso l‘architettura.
 


Ultimo aggiornamento di questa pagina: 09-MAR-12
 

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