Evangelizzare ed educare al lavoro dignitoso nel tempo di Natale
La liturgia della prima domenica di Avvento attribuisce a Dio il lavoro del vasaio: Noi siamo argilla, e tu colui che ci plasma, tutti noi siamo opera delle tue mani (Is 64,7). Come vedremo più ampiamente poco oltre, il nostro Dio è un Dio che lavora, che agisce nella storia; il tempo dellAvvento ci rende attenti e vigilanti, per scorgere i segni della sua opera, e per conservare la fiducia. Celebrare lAvvento dellanno 2011 significa essere inseriti in una profonda situazione di crisi, non solo per lItalia, ma per tutto il mondo. Da più parti si sollevano profondi interrogativi sulla validità del modello attuale di economia e di sviluppo; sarebbe fuori luogo qui addentrarci in complesse analisi: più semplicemente, rileviamo il potenziale trasformativo insito nella celebrazione liturgica, e in particolare nella celebrazione dellAvvento. Il credente attende cieli nuovi e terra nuova: perciò non si affida a nessuna istituzione, a nessuna realizzazione puramente terrena. Lattesa dei tempi futuri è garanzia di libertà e indipendenza: per quanto siano vitali e importanti, non si potrà mai accettare che il lavoro, leconomia, la competizione tecnologica prendano il sopravvento sulla dignità della persona. Lattesa paziente e vigilante dei tempi futuri è riserva di speranza e positività, che risana la fragilità e lo sconforto di chi, dopo decenni di benessere (forse illusorio, forse al di sopra delle possibilità reali) si ritrova a fare i conti con un drastico ridimensionamento delle proprie possibilità. Attendere il Regno di Dio significa fare memoria di ciò che già è stato donato e realizzato, ricordare anche da quali sciagure è stato possibile, con laiuto di Dio, rialzarsi.Attendere la venuta di Cristo, Signore della storia, dona anche il coraggio di opporsi a chi pretende di avere un potere che spetta solo a Dio, dona la forza di testimoniare con umiltà e decisione il Regno di Dio.
Evangelizzare ed educare «Nel gesto della moltiplicazione dei pani e dei pesci è condensata la vita intera di Gesù che si dona per amore, per dare pienezza di vita. Neppure il suo corpo ha tenuto per sé: prendete, mangiate. Linsegnamento del Maestro trova compimento nel dono della sua esistenza: Gesù è la parola che illumina e il pane che nutre, è lamore che educa e forma al dono della propria vita: Voi stessi date loro da mangiare (Mc 6,37)»[1]. Cristo spezza la parola alle folle, benedice i pani e li moltiplica, e invita i suoi discepoli a distribuire i pani e poi a raccogliere «i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto» (Gv 6,12). È Gesù, «profeta potente in opere e in parole» (Lc 24,19), il Maestro da seguire per coniugare lannuncio perenne del Vangelo e il compito mai concluso delleducare ogni uomo a pienezza di vita accompagnandolo nella quotidianità delle sue scelte e in ogni ambito dellesistenza. Lascolto del Vangelo e la grazia di poterlo vivere ogni giorno nelle nostre occupazioni quotidiane, anche nellattuale contesto di crisi, fa rifiorire la speranza nei nostri cuori e ci permette di vivere nella fiducia in Dio. Siamo invitati a seminare cultura e civiltà vivendo nella Chiesa quellintreccio fecondo di evangelizzazione e di educazione che culmina nel portare a pienezza lumanità. Anche nellambito del lavoro, delleconomia e della politica, della giustizia e della pace e della custodia del creato la Chiesa è chiamata a proclamare nella storia lannuncio perenne: «Dio ti ama, Cristo è venuto per te, per te Cristo è via, verità e vita»[2]. Levangelizzazione è esperienza viva della bellezza del Vangelo di Gesù nella compagnia dei fratelli nella Chiesa. In questo cammino ecclesiale, la Bibbia e il Compendio della dottrina sociale della Chiesa, a cui si aggiunge lenciclica sociale Caritas in veritate di Benedetto XVI, sono preziosi strumenti da cui ricavare i principi, lo stile della partecipazione, le possibili risposte nella reciproca fedeltà a Dio e alluomo ai vari problemi locali, che interpellano le persone, le comunità, gli enti presenti su un territorio. È bello soffermarsi sul lavoro a partire da un pensiero di SantAmbrogio: «Ciascun lavoratore è la mano di Cristo che continua a creare e a fare del bene»[3]. Con il suo lavoro e la sua laboriosità, luomo, partecipe dellarte e della saggezza divina, rende più bello il creato, il cosmo già ordinato dal Padre; suscita quelle energie sociali e comunitarie che alimentano il bene comune, a vantaggio soprattutto dei più bisognosi.
Il nostro Dio lavora «In principio Dio creò il cielo e la terra» (Gen 1,1). La Bibbia si apre con Dio che lavora e che crea luomo a sua immagine. Benedetto XVI ci ricorda che: «nel mondo greco il lavoro fisico era considerato lopera dei servi. Il saggio, luomo veramente libero, si consacrava unicamente alle cose spirituali». Questo era il logos greco; «ben diverso il Dio cristiano: Egli, lUno, il vero e unico Dio, è anche il Creatore. Dio lavora; continua a lavorare nella e sulla storia degli uomini. In Cristo Egli entra come Persona nel lavoro faticoso della storia. Il Padre mio opera sempre e anchio opero. Dio stesso è il Creatore del mondo, e la creazione non è ancora finita»[4]. Attraverso il lavoro luomo realizza se stesso, poiché il lavoro, per essere pienamente vero e quindi dignitoso, ci deve parlare oltre che delluomo e della sua dignità, anche di Dio. Di Dio che lavora sei giorni e il settimo si riposa, fa festa e gioisce, trovando bella lopera delle sue mani (Gen 2,2); di Dio che si è identificato per quasi trentanni della sua vita terrena nel lavoro del carpentiere di Nazareth (Mc 6,3); di Dio che ha redento il lavoro e ha chiamato i suoi discepoli a seguirlo mentre lavoravano, invitandoli a diventare pescatori di uomini (Lc 5,10); di Dio che «ha lavorato con mani duomo, ha pensato con mente duomo, ha agito con volontà duomo, ha amato con cuore duomo»[5]. Gesù nella sua predicazione insegna a valorizzare il lavoro e a non lasciarsi asservire da esso. Occorre rivivere il lavoro nella profonda relazione tra la fede e la vita, riscoprire lunicità delluomo nelluniverso e il suo legame imprescindibile con il lavoro e, infine, umanizzare il mondo lavorativo poiché il lavoro è grazia e compito nel servizio agli uomini e a Dio.
Luomo e il lavoro Nellenciclica Laborem exercens, il Beato Giovanni Paolo II, con uno stile che procede per cerchi concentrici, guarda alluomo, posto al centro dei conflitti sociali del tempo presente, valorizzandolo nellintimo legame con il lavoro. «Il lavoro umano è […] la chiave essenziale di tutta la questione sociale»[6]. Il lavoro deve quindi essere ricondotto alla dimensione etica e personale, deve cioè servire allincremento della persona e della vita sociale in cui essa è inserita: «ciò vuol dire solamente che il primo fondamento del valore del lavoro è luomo stesso, il suo soggetto […] per quanto sia una verità che luomo è destinato ed è chiamato al lavoro, però prima di tutto il lavoro è per luomo, e non luomo per il lavoro»[7]. Per Giovanni Paolo II, quindi, si perviene alla soluzione dei problemi economici solo affermando la priorità della persona e dei suoi diritti. Risulta altresì chiaro come lenciclica sifonda sullintera tradizione sociale della Chiesa, la quale cerca di tenere insieme il diritto di proprietà e la destinazione sociale di essa. Il lavoro umano possiede le due dimensioni: oggettiva e soggettiva. «In senso oggettivo è linsieme di attività, risorse, strumenti e tecniche di cui luomo si serve per produrre […], in senso soggettivo è lagire delluomo in quanto essere dinamico, capace di compiere varie azioni che appartengono al processo del lavoro e che corrispondono alla sua vocazione personale»[8]. Lavorando, intraprendendo e, più in generale, agendo, luomo manifesta la possibilità di realizzare la propria umanità, rendendo se stesso più autenticamente uomo. Il valore etico del lavoro risiede nel fatto che colui che lo compie è una persona, un soggetto consapevole e libero, cioè un soggetto che decide di se stesso. Le osservazioni di carattere antropologico che sottendono la riflessione sul lavoro umano, assumono particolare rilevanza e interesse qualora si pensi alla dimensione economico-imprenditoriale della Dottrina sociale della Chiesa. A tal proposito è bene ricordare subito che la Chiesa afferma linalienabile diritto diniziativa economica: «lesperienza ci dimostra che la negazione di un tale diritto, o la sua limitazione in nome di una pretesa ‘uguaglianza di tutti nella società, riduce, o addirittura distrugge di fatto lo spirito diniziativa, cioè la soggettività creativa del cittadino»[9]. Il diritto alliniziativa economica si fonda sulla soggettività creativa. La libera e responsabile azione imprenditoriale può essere definita come un atto che rivela lumanità delluomo in quanto soggetto creativo. Il Compendio, che riserva al lavoro tutto il capitolo sesto, ricordando che Dio «cessò nel settimo giorno da ogni suo lavoro» (Gen 2,2) invita gli uomini, creati a Sua immagine, a «godere di sufficiente riposo e tempo libero che permetta loro di curare la vita familiare, culturale, sociale e religiosa»[10].
[1] I testi biblici sono citati da: Conferenza Episcopale Italiana, Versione ufficiale de La Sacra Bibbia, Fondazione di Religione Santi Francesco dAssisi e Caterina da Siena, Roma 2008. Conferenza Episcopale Italiana, Orientamenti pastorali Educare alla vita buona del Vangelo, 4 ottobre 2010, n. 18.
[2] Idem, Orientamenti e direttive pastorali Evangelizzare il sociale, 22 novembre 1992, n. 6.
[3] SantAmbrogio, De obitu Valentiniani consolatio, 62: PL 16, 1438.
[4] Benedetto XVI, Incontro con il mondo della cultura al Collège des Bernardins, Parigi, 12 settembre 2008.
[5] Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione pastorale Gaudium et spes, 7 dicembre 1965, n. 22.
[6] Giovanni Paolo II, Lettera enciclica Laborem exercens, 14 settembre 1981, n. 3.
[7] Laborem exercens, n. 6.
[8] Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Compendio della dottrina sociale della Chiesa, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2004, n. 270.
[9] Giovanni Paolo II, Lettera enciclica Sollicitudo rei socialis, 30 dicembre 1987, n. 15.
[10] Compendio della dottrina sociale della Chiesa, n. 284.