Avvento-Natale 2011 - Ufficio liturgico nazionale
Proposta della Caritas


Il Verbo si fece uomo…
 
Una voce grida:
“Nel deserto preparate la via al Signore,
spianate nella steppa la strada per il nostro Dio.
Ogni valle sia innalzata,
ogni monte e ogni colle siano abbassati;
il terreno accidentato si trasformi in piano
e quello scosceso in vallata.
Allora si rivelerà la gloria del Signore
e tutti gli uomini insieme la vedranno,
perché la bocca del Signore ha parlato”.
(Isaia 40,3-5)
 
 
… e venne ad abitare IN MEZZO A NOI
 
Mi è stato chiesto di tenere delle lezioni in carcere sul “Conoscere se stessi”.
Ma a me non piacciono i gessetti, scrivere su un quaderno, parlare di teorie. Perché non c’è libro che possa conoscerti e non c’è niente di ricopiabile da una lavagna che ci dica chi siamo.
Allora la mia idea, per il primo giorno, è portare l’attenzione su chi siamo e come gli altri ci percepiscono. E io per prima pongo attenzione a questo aspetto. Mi piace ridere, scherzare, giocare. Quindi entro e mi presento per quella che sono: con molta allegria spiego chi sono, cosa faremo, li lascio liberi di farmi delle domande. Propongo poi dei giochi di ruolo, elimino lo schema del “seduti tutti in fila” sui banchi, porto al centro alcuni di loro e chiedo agli altri di spiegare cosa vedono nel loro compagno di avventura.
Hanno capito il senso, hanno capito il gioco, hanno capito dove voglio arrivare. Allora mi dicono: Ora vai tu al centro e ti diciamo cosa pensiamo di te!
Lo so cosa penserete, visto che ultimamente piango spesso; questa volta però mi sono trattenuta, anche perché la gioia era talmente intensa che un sorriso mi si è appiccicato sulla faccia.
Mi hanno ringraziato, in ogni modo; hanno benedetto la mia presenza: perché da più di un mese nessuno entrava in carcere a fare lezione, perché li ho fatti ridere, perché li ho fatti giocare, perché ho avuto pazienza, perché non li ho rimproverati malamente né ho chiamato una guardia a punirli, perché li ho accettati per quello che sono, perché hanno capito che credo in loro. Mi hanno pregato di tornare, più volte possibile, perché li ho resi felici.
E tutto sommato, l’unica cosa che ho fatto è stata trattarli come ragazzi normali. Perché è questo che appaiono ai miei occhi: ragazzi che hanno sbagliato, ragazzi che spesso hanno rubato per fame, che hanno vissuto per strada, che non hanno una famiglia che li rivoglia indietro. Ma soprattutto ragazzi con molte speranze e molte capacità, che hanno imparato dai loro sbagli e che (spero tutti) sono pronti a cambiare e a rimettersi in gioco.
 Una giovane in servizio civile in Kenya
 
 
Segni di speranza
 
Ci sono luoghi dove le persone vivono un’esistenza difficile, ma a noi lontana, e non è facile entrare in contatto. Il carcere è uno di questi, ma anche i centri di permanenza per immigrati, o semplicemente certi quartieri cittadini dove non si va mai, per paura. In certi casi perfino gli ospedali.
Possiamo provare ad “abbattere” i muri che ci impediscono relazioni che possono diventare segni di speranza per noi e per gli altri.
Occorre solo individuare, nel luogo dove viviamo, uno di questi luoghi, informarci sull’esistenza di organizzazioni che li frequentano e, semplicemente, metterci a disposizione.
 
Guidaci, Pastore buono, sui sentieri dove i poveri attendono la Tua parola.
 


Ultimo aggiornamento di questa pagina: 02-DIC-11
 

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