Educare ai media: è questo il punto di congiunzione fra i due «decenni» individuati dalla Conferenza episcopale italiana per questo inizio di XXI secolo. Alla vasta iniziativa degli «anni Zero», che ha fatto perno sullinteresse per luniverso della comunicazione, si è da poco passati a un progetto al centro del quale si trova, appunto, lemergenza educativa da tempo evidente nel nostro Paese. Il contesto, ancora una volta, è contrassegnato dalla presenza e dai linguaggi della televisione, strumento ancora decisivo per la formazione e il consolidamento di mentalità, sia pure in un contesto mediatico in vorticosa trasformazione. Se ne è parlato mercoledì sera a Milano, in un convegno che per la prima volta ha aperto le porte della storica sede Rai di corso Sempione a uniniziativa voluta e organizzata dallarcidiocesi ambrosiana. Moderato da Lorena Bianchetti, il dibattito su «Famiglia, educazione, televisione» ha visto la partecipazione attenta e qualificata di un folto gruppo di animatori della comunicazione e della cultura. Sullo sfondo, lappuntamento ormai imminente dellIncontro mondiale delle famiglie, ma anche la consapevolezza che come ha osservato Pier Cesare Rivoltella, docente di Tecnologie dellistruzione e dellapprendimento allUniversità Cattolica ogni efficace azione educativa richiede, anche in questo contesto, tempi lunghi e un prolungato esercizio di pazienza. Alla logica dellallarmismo e della conseguente preoccupazione rispetto a quello che la tv «ci» può fare, la famiglia è dunque invitata a praticare quella che lo stesso Rivoltella ha definito una pedagogia del contratto e della complicità. Che richiede tempo, certo, ma può avere esiti sorprendenti specie nel momento in cui i ragazzi vengono sollecitati a mettere in atto esperienze di visione condivisa con i genitori, oltre che a mettere a servizio della famiglia le competenze anche tecnologiche di cui giovani e giovanissimi dispongono oggi in modo pressoché istintivo. Lurgenza di scoprire e valorizzare quello che con la televisione «si» può fare in casa è stata sottolineata anche dal giornalista di Avvenire Alessandro Zaccuri che, facendo riferimento alla propria esperienza di genitore, si è soffermato sul potere di attrazione che le storie raccontate dal piccolo schermo in modalità fra loro diversissime (dalla più sofisticata serialità americana al più grossolano schematismo dei reality) esercitano sugli spettatori di ogni età. Ai genitori, in questo senso, è richiesto lo sforzo di comprendere come mai un certo programma, magari assai distante dai gusti degli adulti, interessa e diverte i ragazzi: guardare insieme, discutere, confrontarsi è una strategia forse elementare, ma sempre vincente. La prospettiva - come ha suggerito monsignor Domenico Pompili, direttore dellUfficio nazionale per le comunicazioni sociali della Cei - è quello di consolidare il ruolo della famiglia come «controambiente» rispetto al sempre più invasivo «ambiente mediale», nella consapevolezza che leducazione autentica si contraddistingue per un elemento di apertura, addirittura di «uscita» da sé, che è lesatto contrario dellimmersione ipnotica imposta dal modello di televisione fin qui prevalente.