www.chiesacattolica.it/ucs - News
Il Grande fratello va in Rete
di Luca Gallesi


Dopo l’attentato dell’11 set­tembre 2001 si scatenò im­mediatamente una colossa­le quanto infruttuosa caccia ai com­plici dei dirottatori suicidi, ma dopo tre giorni, quando la Cia e l’Fbi rese­ro pubblici i nomi degli attentatori, giunse un aiuto insperato da una sconosciuta compagnia dal nome impronunciabile: la Acxiom, nella cui sede, in Arkansas, erano - e so­no - custoditi i dati sensibili del 96% degli americani, compresi i loro in­dirizzi, i nomi dei loro famigliari, gli acquisti effettuati con le loro carte di credito, la presenza o meno di un a­nimale domestico, eccetera eccete­ra. La Acxiom riuscì quindi a fornire alle agenzie governative informa­zioni preziose su undici dei dician­nove terroristi, informazioni che nessun altro possedeva.
La Axciom lavora per tutte le princi­pali carte di credito e molte grandi a­ziende commerciali, da Microsoft a Blockbuster, ma non produce nien­te: il suo obiettivo aziendale è offri­re informazioni. Ogni frazione di se­condo, i suoi calcolatori elaborano un’inimmaginabile quantità di dati, che vengono istantaneamente ven­duti a chiunque voglia fare della pub­blicità davvero personalizzata. Tan­to per fare un esempio, ogni volta che navighiamo su internet le pagi­ne che visitiamo vengono monito­rate e schedate, offrendo così un quadro molto preciso dei nostri gu­sti e delle nostre esigenze, che per­metteranno ai gruppi commerciali online di offrirci i prodotti che in­contreranno più facilmente il nostro gradimento. Questo è solo uno dei tanti esempi forniti da Eli Pariser, autore del re­centissimo The Filter Bubble. What the Internet Is hiding from You (“La bolla-filtro. Quel che internet ti tie­ne nascosto”, Viking), che dimostra come, nell’era digitale, la riservatez­za sia una chimera inesistente. La “bolla” del titolo è quella in cui en­triamo ogni volta che accendiamo il computer: una bolla personalizza­ta, molto gradevole e confortevole, fatta su misura per ciascuno di noi: il problema è che nessuno ci ha av­vertito della sua esistenza, e soprat­tutto nessuno sa cosa ci viene na­scosto dalla stessa bolla, che ci im­pedisce di vedere fuori.
Era il 4 dicembre 2009 quando un avviso piuttosto inconsueto appar­ve sulla pagina ufficiale di Google, il più diffuso motore di ricerca del mondo: annunciava che «da quel momento in poi, ogni ricerca sareb­be stata personalizzata». Pochi se ne accorsero, e ancor meno ne capiro­no l’importanza; eppure, in quel mo­mento, il mondo di internet cambiò radicalmente. Da allora, ogni volta che digitiamo l’argomento di una ri­cerca su Google, i risultati che ap­paiono non sono più uguali per tut­ti, ma vengono selezionati secondo i gusti, le abitudini e le caratteristi­che del singolo utente, la cui fisio­nomia è costantemente aggiornata dagli ininterrotti flussi di informa­zioni monitorati dall’uso della no­stra macchina. Chi tutto sommato non si preoccu­passe troppo del controllo commer­ciale dei nostri gusti e delle nostre a­bitudini dovrebbe invece comincia­re a preoccuparsi del controllo del­le informazioni che si sta verifican­do in parallelo, con la scrematura ef­fettuata dai motori di ricerca dei flus­si di notizie circolanti in Rete, come dimostra l’evoluzione del servizio Google News. Eli Pariser racconta con irritato stupore dell’estrema di­versità dei risultati della medesima ricerca effettuata in Rete da lui e da un suo conoscente di opposte opi­nioni politiche: a ciascuno venivano forniti articoli e pagine web perfet­tamente in sintonia con le idee di ciascuno, che veniva così rafforzato nelle proprie convinzioni ed esclu­so da qualsiasi confronto dialettico. Ad esempio, nella primavera 2010, dopo il grave inquinamento da pe­trolio causato nel Golfo del Messico dalla British Petroleum, digitando “Bp” da due computer diversi, uno di un manager e l’altro di un attivi­sta politico, si ottenevano nel primo caso 180 milioni di risultati con in cima le quotazioni delle azioni Bp, mentre il secondo diede 139 milio­ni di risultati, con le notizie del disa­stro ecologico in prima fila.
Il ghetto dorato che ci siamo costruiti intorno, poi, viene ulteriormente rafforzato dai social network , Face­book in testa, che hanno accelerato la trasformazione dei nostri com­portamenti in merce, esproprian­doci della nostra intimità per riven­derla al miglior offerente, offerente che resta invisibile, sconosciuto e quindi ancora più insidioso. Come difenderci dalla filter bubble? Innanzitutto riconoscendola come tale, accorgendoci della sua esisten­za, poi chiedendo maggior traspa­renza agli operatori, magari facendo pressioni perché il problema sia ri­conosciuto e affrontato nelle sedi a­datte. Nel frattempo, può essere uti­le riflettere su un proverbio che cir­cola in Rete: «Se non paghi qualco­sa, non sei il cliente: sei il prodotto».
 

 


Ultimo aggiornamento di questa pagina: 22-SET-11
 

Chiesa Cattolica Italiana - Copyright @2005 - Strumenti Software a cura di Seed