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Nuovo delitto mediatico
di Marco Tarquinio



Ci avevano raccontato la tv digitale ter­restre come una nuova e bella occa­sione di pluralismo. Come il passaggio da un etere che si era fatto sempre più stret­to (per un certo caos d’origine e per lo stra­ripante prepotere dei ben noti giganti del traliccio analogico e del satellite) a uno spa­zio ordinato eppure abitabile da tanti. Cer­to abitabile anche da tutti coloro che ave­vano saputo “fare tv” con spiccato spirito di servizio al proprio territorio e - udite, u­dite - persino “per volontariato”, cioè pen­sando prima di tutto alla propria gente e coltivando l’idea di una missione cultura­le da assolvere e, poi, solo poi ed even­tualmente, pensando anche al business.
Stiamo prendendo atto che non è così, che - per come sono state impostate le cose da Ministero e Agenzia - la logica del prepo­tere (e delle prenotazione delle fette di tor­ta) appare purtroppo sempre la stessa. Stia­mo registrando che la riorganizzazione di­gitale è diventata - quasi inesorabilmente, in questi tempi di crisi - anche un’occa­sione per lo Stato di “fare cassa” (piazzan­do spicchi di torta a compagnie telefoni­che) e che il conto non è affatto diviso in parti uguali e che, anzi - secondo quella che sembra diventata la strana regola del­­l’Italia del 2011 -, pagherà di più chi ha di meno. Stiamo, insomma, scoprendo che anche in questa complessa storia ci sono delle vittime designate e che, guarda caso, queste vittime sacrificali sono ancora una volta i più piccoli, i più disinteressati (e de­diti), i più apparentemente deboli: tante tv espressione della provincia italiana e mol­tissime di quelle preziose “emittenti di co­munità” che sono state promosse negli ul­timi trent’anni soprattutto (ma non solo) da cattolici.
Si annuncia una vera Tele-Mattanza, e noi non ci stiamo a vederla consumare in si­lenzio, nel cuore vacanziero d’agosto (i bandi per l’assegnazione delle frequenze sono in arrivo proprio in questi giorni…) e nella distrazione dei più. Ovviamente, razionalizzare si può e - per certi versi - si deve. Ma lascia di stucco che tra i criteri fissati per “salvare” la frequen­za di una tv non ci sia la forza della stessa tv presso il pubblico dell’area servita. Nul­la conta, in pratica, che un’emittente loca­le sia molto o poco seguita, conta che ab­bia patrimonio e che guadagni. E così una realtà televisiva senza peso, ma che ha si­nora fatto reddito (persino abbondante) affittando i propri impianti ad altre emit­tenti può farcela a restare in campo da pa­drona in casa propria, mentre un tv signi­ficativa per ascolti e incisiva per qualità dei programmi, ma magari fatta soprattutto per passione civile e informativa, corre pe­santemente il rischio e ha la quasi certez­za di essere sfrattata, di doversi trovare un oneroso affitto o di sparire. Una vera, in­sopportabile, ingiustizia.
Ovviamente, nessuno pensa che sia giusto umiliare ruolo e investimenti dei grandi network. Ma si resta sbalorditi nel consta­tare che ai “big” - Rai, Mediaset e Telecom - non viene solo garantito ciò che già han­no, ma è addirittura assicurato spazio di­gitale in più. Alla fin fine - manco a dirlo - a spese dei piccoli, secondo quegli ingiu­sti criteri che abbiamo appena richiama­to e che sono spiegati a dovere nell’in­chiesta giornalistica che Avvenire cominciamo a pubblicare alle pagine 4 e 5 di domenica 31 luglio (cfr. allegati).
Ma c’è qualcuno - premier, ministro, ga­rante, editore, sindacalista o esperto - che pensa di poter spiegare non soltanto a tut­ti coloro che sono minacciati dalla Tele- Mattanza ma all’intera opinione pubblica italiana perché mai ruolo e investimenti delle piccole e serie tv varrebbero meno di quelli dei grandi gruppi televisivi? C’è qual­cuno che se la sente di difendere questa strana idea di maggior pluralismo che si concreta nell’ulteriore straripare delle su­perpotenze televisive e nella penalizzazio­ne delle autentiche voci tv del territorio?
Poco più di un anno fa, Avvenire sollevò il caso del “Delitto mediatico”, lo strangola­mento con una feroce manovra sulle tarif­fe postali della stampa del territorio, delle testate nazionali con molti abbonati, del­le piccole case editrici. Si arrivò a una ri­duzione del danno (con problemi ancora lontani dall’esser risolti). Oggi ci ritrovia­mo al cospetto di un processo analogo che tocca il mondo delle tv. Verrebbe da pen­sare a un piano preordinato. Ma forse è so­lo un caso. E allora ci si dia da fare per ri­solverlo. A chi giova, e chi premedita, la Te­le- Mattanza?
 


Ultimo aggiornamento di questa pagina: 01-AGO-11
 

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