«Intorno al mese di dicembre del 1910 le caratteristiche dellumanità cambiarono»: a distanza di un secolo, queste parole della scrittrice inglese Virginia Woolf sono di grande attualità, anzi acquistano un rilievo tuttaffatto speciale grazie alla crescente ibridazione tra uomo e computer. È ormai evidente che uomo e computer sono le due componenti, una biologica laltra artificiale, di un vero e proprio ‘simbionte‘ ciborganico. Siamo in presenza di un homo technologicus, una unità evolutiva nuova, almeno sotto il profilo cognitivo e comunicativo. Se è vero che luomo costruisce gli strumenti tecnici, è vero anche che questi strumenti retroagiscono su di noi modificando le nostre caratteristiche, facendo emergere capacità nuove, a volte insospettate, e attenuando o sopprimendo altre abilità. Non solo luomo, o almeno la sua mente, si modifica grazie a questo stretto connubio con la macchina: anche il computer modifica la gamma delle sue prestazioni e si offre ad usi nuovi. Come indica il nome, il computer (o calcolatore) nacque come macchina da calcolo, poi fu impiegato nel controllo di impianti e nella gestione di grandi basi di dati. Oggi limpetuoso sviluppo delle reti (in primo luogo Internet) dimostra che la vera vocazione dei computer è il collegamento interattivo tra gli individui, i quali sempre più fungono da nodi della grande ragnatela di comunicazione che si sta estendendo su tutto il pianeta. In questa direzione si sta manifestando lenorme influenza delle ‘reti sociali‘: non per nulla Mark E. Zuckerberg, il ventiseienne fondatore e responsabile di Facebook, indicato dalla rivista Time come luomo dellanno (anzi la persona dellanno, per via dellinimitabile ipercorrettezza americana), è stato definito ‘the connector‘, il collegatore. Questa fusione sempre più intima ed estesa (oggi Facebook costituisce il tessuto connettivo di 550 milioni di utenti, quasi un decimo della popolazione mondiale) di uomini e macchine allinsegna della comunicazione configura unestensione, un rafforzamento e unaccelerazione operativa di quella che Pierre Lévy nel 1996 chiamò «intelligenza collettiva», cioè lintelligenza dellumanità, che trascende quella di ciascun individuo e per certi versi la supera in potenza. In realtà, grazie alla comunicazione linguistica, prima orale e poi scritta, la specie umana ha sempre manifestato unintelligenza di tipo superindividuale, come del resto anche alcuni insetti sociali, per esempio le api e le formiche. Ma lavvento del computer e delle reti ha potenziato il fenomeno e autorizza a parlare addirittura di «intelligenza connettiva». Sta prendendo corpo, con il supporto di una tecnologia flessibile, onnipresente e pochissimo costosa, la grandiosa visione di Pierre Teilhard de Chardin, il quale nel libro Le phénomène humain, pubblicato nel 1955, poco prima della sua morte, aveva preconizzato la fusione di tutte le intelligenze degli uomini in una Noosfera. Il termine Noosfera, mutuato da Vladimir Varnadsky, indica in Teilhard de Chardin una sorta di coscienza collettiva che scaturisce dallinterazione cognitiva tra le singole menti umane. Al crescere della complessità e dellintegrazione dellumanità, oggi tanto favorita dalla tecnologia, cresce la consapevolezza della Noosfera, che culminerà nel Punto Omega, cioè il Logos cristiano. Nel 1955 Internet ancora non esisteva, ma non si può sfuggire allimpressione che il gesuita francese ne avesse intuito il prossimo avvento.