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Pordenone: i media cattolici sismografi del mondo che cambia

Non sono stati gli eco­nomisti a cogliere per primi che la crisi eco­nomica stava arrivando al ga­loppo. Lo sono stati, invece, i parroci, i direttori della Caritas, che si sentivano bussare la por­ta da nuovi poveri, le famiglie i­taliane, anche del ceto medio. Lo sono stati i vescovi e la Cei che hanno rilanciato queste preoccupazioni. Lo ha rilevato il direttore di «Avvenire» Marco Tarquinio, osservando appun­to che sulle pagine del giorna­le «abbiamo aperto gli occhi in anticipo». E questo per dire quanto e come il quotidiano dei cattolici sia attento a ciò che accade nella realtà viva della Chiesa italiana, là dove i pro­blemi si vivono quotidiana­mente, dall’impegno sociale contro le mafie al Sud (ad e­sempio con le cooperative so­stenute dalla stessa Cei), a quel­lo per l’integrazione degli im­migrati al Nord. Un giornale, in­somma, attento a tutte le ma­nifestazioni delle comunità cri­stiane («una realtà diffusa in maniera indescrivibile»), e che spesso non sempre vengono colte, apprezzate e diffuse dal­l’altra stampa. Tarquinio ne ha parlato in un convegno, a Pordenone, nel­l’ambito della manifestazione «Pordenonelegge», e nella fat­tispecie nel convegno in cui è stato presentato il volume Edi­toria, media e religione. Gli ef­fetti della comunicazione, pub­blicato dalla Libreria Editrice Vaticana, presente con il diret­tore don Giuseppe Costa, au­tore del volume. «Cadute le i­deologie, la religione - ha det­to Costa, durante la tavola ro­tonda moderata da Stefano de Martis, direttore di «TV 2000» - ha oggi un ruolo centrale, an­che rispetto all’economia, alla politica». Attenzione, però, co­me viene presentata. Occorre, per don Costa, «fare un grande lavoro di selezione» e in parti­colare stare più attenti all’uso dei diversi linguaggi. Il lin­guaggio, appunto.
Il volume di don Costa è, da questo punto di vista - come ha sottolineato don Giuseppe Scotti, segretario del Pontificio consiglio delle comunicazioni sociali -- un «manuale per l’u­niversità ». Come dire, insom­ma, che dentro la Chiesa biso­gna imparare i nuovi linguaggi per utilizzarli al meglio. Don Costa, dunque, ha il merito - secondo Scotti - di aver «final­mente tolto il velo del silenzio, dopo 40 anni, sulla realtà della comunicazione» e sul proble­ma che i cattolici non sono ca­paci di dirsi, di raccontarsi. «Hanno un grande prodotto e un pessimo marketing. Eppu­re abbiamo alle spalle una grande storia, anche di impegni e di investimenti». La maggio­re fatica, ha sottolineato De Martis, si riscontra soprattutto nell’approccio con la televisio­ne. Sì, perché - ha obiettato don Scotti -, la televisione fa molto spettacolo, ma poca bellezza. Da qui la ‘diffidenza‘ di una parte della Chiesa. Ma proprio per questo - ha insistito de Martis - come «TV2000» stia­mo investendo nell’arte e nel­la musica. La Chiesa, in ogni caso - ha ras­sicurato Roberto Papetti, diret­tore de «Il Gazzettino» - è pro­tagonista dell’informazione lo­cale quotiadina, basta sfoglia­re le nostre pagine. E non solo perché in una realtà come quel­la del Nordest c’è un patriarca che fa notizia, ma anche per­ché la fanno tanti sacerdoti con le parrocchie ed i più diversi servizi di carità e di cultura.
 


Ultimo aggiornamento di questa pagina: 17-SET-10
 

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