L'Archivio
Diocesano di Pitigliano possiede una ricca documentazione sugli ebrei della
Diocesi, che nei secoli XVI-XVIII contava comunità ebraiche in ben sette località:
Pitigliano, Sorano, Castellottieri, Scansano, Piancastagnaio, Proceno e Onano, comunità
poi confluite in quella di Pitigliano, l'unica rimasta alla fine del secolo XVIII. La
cittadina di Pitigliano è detta anche "Piccola Gerusalemme", avendo ospitato
per cinque secoli una comunità ebraica, che è stato in Italia notevole esempio
di convivenza tra cittadini cristiani ed ebrei.
In realtà sull'espansione
dell'insediamento ebraico pesarono più di tutti l'autonomia ed il potere
assoluto dei conti Orsini che in qualche modo esercitarono una certa tolleranza
sugli ebrei della Contea di Pitigliano. Infatti tra il 1556 e il 1561 lavorò
nella contea, al servizio di Niccolò IV (1547-1562), il celebre medico David de
Pomis, che per primo indicò Pitigliano, Sorano e Sovana come le "tre
città-rifugio" per gli ebrei, cacciati dal vicino Stato della Chiesa in
conseguenza dei provvedimenti pontifici del 1555 e del 1569.
Nella Contea di Pitigliano
come in quelle vicine di Santa Fiora e Castell'Ottieri, gli ebrei non avevano
le limitazioni previste dallo Stato Pontificio, tanto che potevano perfino
possedere beni stabili. Non solo, gli Orsini, che come altri Signori
appoggiavano gli ebrei per i vantaggi loro derivanti dai banchi, poterono
ignorare certe leggi granducali antiebraiche quali la Provvisione contra li
ebrei del 1567, il Decreto sopra li Hebrei del 1570 e la Provvisione
sopra li hebrei del 1572. In
tale contesto nel 1571 si determinò l'insediamento di un "banco" ebraico da
parte dei banchieri Laudadio e Isacco d'Abramo da Viterbo, che crearono
contestualmente il primo embrione di una comunità destinata a crescere in breve
tempo. Indubbiamente il banco di Pitigliano è da considerare come la
continuazione sul territorio di quello creato a Sovana in epoca precedente.
Ai primi del Seicento però
la cessione della Contea di Pitigliano da parte degli Orsini al Granduca di
Toscana, che ne prese possesso nel 1608, provocò allarme tra gli ebrei e la
conseguente emigrazione di alcuni banchieri. Infatti gli ebrei della Contea, a
seguito dell'emanazione dei Capitoli (1622) da parte del Marchese Francesco
Malaspina, furono non solo tassati per una forte somma (destinata alla
costruzione dell'acquedotto di Pitigliano) ma costretti a vivere all'interno
del ghetto che aveva la funzione di "redurre et habitare tutti in un luogo l'ebrei
per levarli dalla familiar conversatione con li Cristiani". La comunità ebraica dopo
un primo momento di crisi, rapidamente si riprese ed ebbe nuovo incremento con
l'immigrazione di ebrei dalla vicina città di Castro, distrutta nel 1649,
diventando anche riferimento delle altre comunità israelitiche della zona, che
si andavano via via estinguendo.
Contemporaneamente l'atteggiamento
del Granduca, che pian piano comprese il ruolo commerciale svolto dagli ebrei
pitiglianesi nei rapporti con lo Stato Pontificio e il porto di Livorno, mutò,
tanto che gli ebrei furono esonerati dal segno e fu concesso loro di abitare
fuori dal ghetto. Gli ebrei a Pitigliano
riuscirono così a strutturare una vera e propria comunità retta da Massari e
dotata di una sinagoga, di un cimitero, della scuola, di tutte le altre
istituzioni tipiche di una comunità ebraica (macelleria casher, bagno rituale,
forno delle azzime ecc…) nonché di un rabbino. In particolare la sinagoga di
Pitigliano veniva visitata dal vescovo di Sovana durante le visite pastorali al
fine di controllare le condizioni di conservazione della Bibbia e dei libri sacri,
come si legge nella visita di Mons. Francesco Pio Santi (Roccalbegna, 1740 –
Pienza, 1799).
Nel corso del Settecento
alcuni ebrei pitiglianesi con la loro intraprendenza riuscirono ad elevarsi
economicamente e nuove opportunità vennero loro offerte dal processo di riforme
dei Lorena, nuovi Granduchi di Toscana, che in questo territorio procedettero
alla vendita di una quantità di terre, opifici e annessi demaniali per la
formazione della piccola proprietà privata. Alcuni ebrei di Pitigliano, come i
Servi e i Sadun, poterono così acquistare tenute, poderi, mulini e frantoi. Quando infine con la
riforma delle Comunità del 1783-1785 fu concessa agli ebrei la possibilità di
essere eletti nei consigli comunali, Pitigliano ebbe subito un consigliere
comunale ebreo.
Le favorevoli condizioni
degli ebrei nella Contea di Pitigliano, che si erano andate sviluppando con la
concessione di privilegi da parte dei Granduchi, la benevolenza dei governanti
della Contea, l'atteggiamento equilibrato delle autorità ecclesiastiche nei loro
confronti, avevano creato le condizioni per un buon rapporto di convivenza tra
gli ebrei e la popolazione cristiana. A
dimostrazione di ciò, nel 1799 accadde l'episodio, che consolidò
definitivamente il rapporto di convivenza tra ebrei e cristiani a Pitigliano;
nella vicenda, detta "notte della
rivoluzione", connessa ai moti del "Viva Maria", la popolazione
pitiglianese difese in armi gli ebrei del luogo contro i soprusi e le minacce
di un gruppo di dragoni. È
questo un caso unico in Italia, in totale controtendenza rispetto alle violenze
e agli eccidi che gli ebrei nel medesimo periodo subirono in altri luoghi
(Siena, Monte San Savino, Senigallia ecc...).
Inoltre
gli ebrei, che godevano in questo territorio di importanti privilegi, potevano
rivolgersi al Tribunale Ecclesiastico alla pari dei cristiani e spesso
ricevevano sentenze favorevoli, anche contro gli ecclesiastici. Emergono
dai documenti del Tribunale ecclesiastico le attività economiche (gli ebrei in
questi ambienti rurali esercitavano il prestito, il commercio, l'artigianato),
gli aspetti religiosi, ma anche frammenti di vita quotidiana raccontati
attraverso episodi curiosi: alla metà del secolo XVII l'Arciprete di Sorano
attraverso una botola faceva venire gli ebrei dal ghetto in canonica per
giocare a carte; il Preposto di Sovana,
nel 1665, fece causa contro l'ebreo Isacco Gomes, che aveva chiesto di
acquistare dal prete suo debitore, un clavicembalo, lo aveva tenuto per un
certo tempo ma poi non voleva pagarlo; infine il Podestà di Pitigliano nel 1764
per ripulire un vicolo dalla immondizie, obbligò l'unico ebreo che ci abitava a
pagare per tutti gli altri cittadini non ebrei della via, con possibilità di
rivalersi con gli altri, ma subito ci fu chi rifiutò di rimborsarlo.
Nel Novecento le mutate
condizioni economiche e sociali determinarono una lenta, ma costante,
emigrazione degli ebrei pitiglianesi verso città e centri più grandi, tanto che
nel 1931 la comunità risultava costituita da settanta persone e per effetto
della legge dello stesso anno, questa comunità fu aggregata a quella di
Livorno. Furono poi le leggi razziali del 1938 e le successive persecuzioni che
sancirono definitivamente il declino della comunità nonostante il manifesto
dissenso della intera popolazione pitiglianese. A Pitigliano comunque fino all'autunno
del 1943 la vita degli ebrei rimasti trascorse fra i disagi comuni a tutta la
popolazione, ma senza che la loro libertà di movimento, la loro incolumità e
presenza civica fossero messa in pericolo. La percezione della tragedia
incombente arrivò più tardi, dopo il 16 ottobre 1943 quando alcuni pitiglianesi
residenti a Roma tornarono nel paese e narrarono la vicenda del rastrellamento
compiuto in quel giorno nella capitale. Di lì a poco per alcuni ebrei di
Pitigliano arrivò l'intimazione del capo della provincia di Grosseto di
presentarsi per essere rinchiusi nel campo di raccolta istituito a
Roccatederighi (tra Sassofortino e Roccastrada) nella residenza estiva del
vescovo di Grosseto, luogo in cui, a partire dal 2 dicembre 1943, furono concentrati
ottantaquattro ebrei provenienti dall'intera provincia. Alcuni fra gli ebrei pitiglianesi
si sottrassero all'intimazione e trovarono rifugio nelle campagne, accolti e
protetti dalla popolazione contadina. Durante la guerra gli ebrei rimasti si
salvarono proprio grazie alla generosa protezione della popolazione locale, che
offrì ospitalità, rifugio ed assistenza nonostante i rischi evidenti nel
momento più buio della storia.
Pitigliano fu poi liberata
il 14 giugno 1944. Tuttavia la comunità ebraica non rifiorì più e la chiusura
della sinagoga, avvenuta nell'anno 1960, rappresenta simbolicamente il declino
di una comunità e della sua lunga storia fatta di rapporti di tolleranza, di
stima e molto spesso di amicizia e di affetto reciproco con la comunità
cristiana, principi che costituiscono il valore fondamentale dell'esemplare
esperienza pitiglianese.
(testo a cura di Angelo Biondi, storico e collaboratore dell'ASD di Pitigliano)