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 News - Archivio - 2016 - Giugno - Il tempo delle sinergie 
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Il tempo delle sinergie   versione testuale

A quale compito sono chiamati i media della Chiesa italiana al tempo di Papa Francesco? È la domanda che ha accompagnato la giornata di lavori del Comitato dei presidenti e delegati del Copercom, che si è tenuta mercoledì 9 giugno a Roma alla presenza di oltre trenta presidenti e delegati delle associazioni cattoliche. “Responsabilità, sinergia e sussidiarietà” sono le tre piste che hanno guidato la riflessione alle quali, ha precisato il presidente del Copercom, Domenico Delle Foglie, si deve aggiungere la “sobrietà”: “È questo lo stile a cui dobbiamo adeguarci, fare molto con poco”. Il Papa, infatti, “ci chiede di andare all’essenziale e la comunicazione stessa deve puntare al cuore del messaggio cristiano”. Per Delle Foglie, “viviamo un tempo nuovo, non un’epoca di cambiamento ma un cambiamento d’epoca, che comporta anche un nuovo modo di essere Chiesa ed essere cristiani”.



Dalla reazione alla missione. L’incontro è stato introdotto da don Ivan Maffeis, direttore dell’Ufficio Cei per le comunicazioni sociali (Ucs). “È giusto continuare ad approfondire il tema dei migranti, che non è neanche più un’emergenza ma una realtà?”, ha domandato don Maffeis prima di citare un passaggio del libro “Esodo” di Domenico Quirico: “Ciascuno di loro è un caso, non una massa come ci ostiniamo a convertirli. E se per certi aspetti ormai li conosciamo, ci resta da fare ancora un lungo cammino per giungere all’interno dei loro enigmi”. Pretendiamo di conoscere gli altri come “categoria”, ha aggiunto il direttore dell’Ucs: “L’anima del migrante è l’attesa, ma noi oggi sappiamo ancora attendere? E cosa attendiamo e con quali speranze scrutiamo l’orizzonte?”. Nel viaggio, “i migranti portano con loro la speranza che spesso li rende allegri, come chi imbocca una strada nuova”. Ma noi, ha incalzato don Maffeis, “di quale speranza ci rivestiamo? Quale allegria riscalda il nostro cuore?”. In qualità di operatori della comunicazione, ha rilevato, “dobbiamo sentirci sempre responsabili e partecipi nei confronti del prossimo”. A raccogliere la provocazione è stato Lucio Brunelli, direttore delle testate giornalistiche Tv2000 e InBlu Radio, che ha invitato a “passare da uno sguardo reazionario a uno missionario sulla realtà”. Uno sguardo, ha sottolineato, che non sia “proselitismo” e sappia confrontarsi con tre categorie: le “certezze” che i comunicatori cattolici devono avere, “poche ma grandi e non confuse con l’ideologia”; il “realismo” che fa i conti con i dati di fatto, perché se “nell’ovile è rimasta una sola pecora e novantanove sono uscite dobbiamo considerare la realtà”; la “apertura”, ovvero “il desiderio e la passione di incontrare l’altro non solo per portare qualcosa, ma anche per imparare”. “La realtà si vede meglio dalla periferia che dal centro”, osserva il Papa, e Brunelli si sintonizza sull’approccio di Francesco: “I missionari sono costretti a comprendere cosa possa attrarre una persona che non è cristiana, e lo stesso dovremmo fare anche noi in qualità di giornalisti e comunicatori. Quando lo sguardo del cristiano è puntato sul centro vero del cristianesimo, infatti, produce effetti senza neanche volerlo”.

Il tempo delle sinergie. Un’esortazione ad “assumere il linguaggio della contemporaneità” e a “non demonizzare il mondo della televisione” è stata quella espressa da Paolo Ruffini, direttore di rete di Tv2000, che si è detto convinto della necessità di “utilizzare la lingua del nostro tempo per essere compresi”. “Parlare chiaro è una delle prove che abbiamo davanti”, ha ribadito: “In quanto media cattolici dobbiamo evitare di rappresentarci come un mondo separato, magari separandoci anche tra noi. La nostra identità deve essere costruita sul dialogo e non sull’esclusione”. Quindi, citando Giovanni Paolo II, Ruffini ha ricordato che “tanti credono di avere sempre la verità in tasca, ma non è così”. La sfida per i media cattolici, invece, è quella di “essere ed essere percepiti come cercatori di verità, anche da chi non crede”, e di “fare rete tra di noi senza trasformare la rete in una forma di sopraffazione dell’altro”. In fondo, “anche se ci scontriamo tutti i giorni con la mancanza di mezzi, nei momenti di crisi si può riscoprire la più grande vocazione e l’impegno più sentito”. “Nessuno deve sentirsi piccolo, troppo piccolo rispetto ad un altro troppo grande”, ha aggiunto riportando uno stralcio del discorso di Papa Francesco ai membri dell’associazione Corallo: “Non dobbiamo avere complessi di inferiorità, ma nemmeno di autosufficienza”. Sul versante delle sinergie si è soffermato anche il direttore di “Avvenire”, Marco Tarquinio, che ha proposto la creazione di “un luogo in cui far confluire tutto quello che produciamo ogni giorno come media cattolici”. L’informazione sempre più accessibile, “in cui sembra che potenzialmente tutte le fonti abbiano pari dignità e valgano allo stesso modo”, mette in discussione “la comunicazione tradizionale in crescente difficoltà”: “Noi abbiamo sempre più bisogno di pozzi di acqua potabile, di un’informazione sicura e affidabile. Altrimenti rischiamo di non capire nemmeno dove si trovano le verità più piccole”. Anche nel panorama cattolico, ha precisato Tarquinio, “assistiamo alla diffusione del populismo, che è un peccato contro la carità e la fraternità”: “È un dato nuovo, ad esempio, che il populismo cattolico si manifesti contro il Papa. Ma noi siamo chiamati a non assecondare queste ondate”. Per il direttore di “Avvenire”, la “Chiesa in uscita” è quella che “non accetta battaglie di trincea ma combatte in campo aperto, dove ci sono tutti i conflitti del mondo e c’è bisogno degli ospedali da campo”. Anche su questo fronte, i media cattolici “sono uno strumento fondamentale” e il “nostro compito è non perdere voci e presenze”, in particolare quelle dei settimanali diocesani.