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 News - Archivio - 2016 - Maggio - Misericordia, nella giungla dei media 
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Misericordia, nella giungla dei media   versione testuale

Può davvero esserci nel mondo dell’informazione, dominato dalle sue leggi e dalle sue dinamiche, spazio per la misericordia? «Quando la parola nasce dall’ascolto, che è limite all’esondazione del sé, è capace di vita. E quando si ascoltano le vicende di una società spesso ferita e frantumata e si riesce a raccontare senza chiudere la prospettiva alla speranza, si fa esercizio di misericordia», ha risposto monsignor Dario Edoardo Viganò, prefetto della Segreteria per la comunicazione, intervenendo alla tavola rotonda che ha concluso il ciclo di incontri per gli operatori della comunicazione e gli artisti promosso dall’Ufficio comunicazioni sociali della diocesi di Roma in occasione del Giubileo. 
Per far sì che la misericordia trovi posto nelle cronache e nei servizi giornalistici, è necessario «avere uno sguardo che privilegi gli ultimi, le periferie » e «costruire rapporti di amicizia ». Non basta, ha osservato Viganò, «avere una Sala Stampa della Santa Sede per dare notizie, ma bisogna creare relazioni con i media, con i giornalisti per aiutarli a raccontare ciò che succede, anche se si tratta del volto sfigurato della Chiesa». Del resto, ha rilevato il gesuita Marco Rupnik, direttore del centro Aletti, «non esiste informazione che non sia trasmissione di un vissuto».
«Dio – ha spiegato il gesuita – non ha mandato un libro, ma una persona. La misericordia è il modo in cui esiste Dio e quindi è anche il modo in cui esistono i cristiani: questo significa includere il povero e soprattutto il peccatore». Si tratta, ha ricordato Rupnik che è l’autore del logo di questo Anno Santo straordinario («Ero su un’impalcatura quando sono stato raggiunto da una telefonata in cui mi si chiedeva di preparare, entro le 18 di quella sera stessa, tre bozze», ha confidato), «di imparare a guardare con gli occhi di Dio», annullando «distanze e confini come fa papa Francesco».
Spesso, ha ammesso Andrea Tornielli, vaticanista de La Stampa, «noi giornalisti ci sentiamo investiti della possibilità di dare dei giudizi, mentre abbiamo la grande responsabilità sia del cosa si comunica sia del come lo si fa». Le parole, infatti, «possono ferire, ma con le parole possiamo anche esprimere attenzione e delicatezza per la dignità della persona».
L’incontro, moderato dalla giornalista Safiria Leccese, si è concluso con la consegna a padre Rupnik del Premio Paoline Comunicazione e Cultura 2016 «per aver saputo rinnovare la tradizione dell’arte sacra, facendo parlare la pietra e il colore, l’Occidente e l’Oriente» e per aver offerto a tutti, attraverso il logo, «un’occasione per riflettere sulla sinergia tra comunicazione e misericordia».