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 News - Archivio - 2016 - Gennaio - Notizie sì... panico no! 
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Notizie sì... panico no!   versione testuale

Prosegue, con la testimonianza di Luca Borgomeo, Presidente dell'Aiart, la riflessione a più voci promossa dal Copercom sul tema della responsabilità della comunicazione, anche cattolica, dinanzi all’offensiva del terrorismo: "nell'informare bisogna farsi carico responsabilmente degli effetti che le notizie possono avere".



Con la preoccupazione si può "convivere", con la paura, spesso irrazionale, no
di Luca Borgomeo
Presidente Associazione Italiana Ascoltatori Radio e Televisione.
Da anni impegnato nella tutela di utenti e minori. Esperto di diritto e di comunicazione, ha ricoperto vari incarichi, tra gli altri: capo ufficio stampa nazionale della Cisl (1964-1977), membro del Direttivo della Biennale di Venezia (1987-1994), componente del Comitato Italiano per l’Unicef  (1980), presidente del Consiglio della Regione Lazio (1995-2000), presidente del Consiglio Nazionale degli Utenti dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (2006-2009; 2011-2013).
Autore di numerosi saggi e articoli, è stato insignito dal capo dello Stato dell’onorificenza di Grande Ufficiale al Merito della Repubblica Italiana.
 
 
Sono trascorsi due mesi dal tragico 13 novembre che ha sconvolto Parigi con una serie drammatica di cinque attentati. Una strage al locale notturno Bataclan, un kamikaze allo stadio durante la partita di calcio Germania-Francia: esplosioni, raffiche di mitra in un ristorante e in una pizzeria. Un tragico bilancio con 129 morti e centinaia e centinaia di feriti. La Francia sprofondata nel terrore  e nel lutto. Tutto il mondo in ansia.
In pochi minuti le immagini hanno fatto il giro del mondo e miliardi di persone  hanno visto “quasi” in diretta quella che il Presidente della Repubblica Francese ha definito immediatamente una guerra. Le sue prime parole sono state : “La France est en guerre. Les actes commis a Paris sont  des actes de guerre”.
Come un fermo-immagine su un videoregistratore o un lettore di CD o DVD, le stragi di Parigi sono rimaste negli occhi di miliardi di persone.
Alcune immagini, come la donna che sfugge alla strage del Bataclan appesa al davanzale di una finestra, sono impresse per sempre nei nostri occhi ed hanno suscitato sdegno, raccapriccio, preoccupazione, ansia, paura e sentimenti di pietà, di commozione, di dolore e, in qualche sciagurato, forme di compiacimento.
E poi, subito dopo, l’amara considerazione che i terroristi hanno raggiunto il loro scopo, quello di seminare terrore, con tutti i media a rovesciare in continuazione e in tempo reale nelle Tv in tutte le case, in tutti i continenti, nelle metropolitane, nei luoghi pubblici, negli aereoporti, sui tablet, smartphone, sui Pc, sui giornali milioni e milioni di immagini, di corpi straziati, di facce disperate, di polizia, corse di ambulanze, di città sconvolte e gente in preda al panico.
È indubbiamente difficile “raccontare” questi fatti violenti, impastati di odio, di ferocia e purtroppo di sangue. Non si può, dando queste notizie, non avvertire un certo disagio, se non la preoccupazione, di alimentare ansia e paura e, soprattutto, di dare involontariamente una mano a chi ha come obiettivo primario quello di seminare il terrore.
Certo le notizie devono essere date; i fatti raccontati, le reazioni riportate, le risposte della gente e delle istituzioni rese note.
Ma nell’informare bisogna farsi carico responsabilmente degli effetti che le notizie possono avere e, conseguentemente, accompagnare sempre e comunque il dovere di informare con quello, altrettanto importante, di orientare il giudizio dei fruitori dei media sulla gravità dei fatti, sulle responsabilità, sulla capacità delle forze politiche e sociali, oltre che militari, di contrastare e assicurare alla giustizia i terroristi, mostrando in tal modo l’insensatezza delle gesta dei criminali e l’impossibilità di sovvertire con questi atti disperati l’ordine costituito e di “cambiare” la vita di miliardi di persone.
Ciò non significa sottovalutare i pericoli del terrorismo su scala mondiale, intriso più che da contrasti religiosi, dall’intollerabile e, purtroppo, crescente divario economico, culturale, sociale di una parte di uomini e donne che hanno tutto (anche il superfluo) e miliardi di persone che hanno poco, niente, e che spinti dalla fame e dalla miseria premono alla porta dei Paesi ricchi.
È comunque innegabile che fatti di tale gravità destano in noi tutti sentimenti di inquietudine, ansia, paura, alimentati, giorno dopo giorno, non solo da altre notizie di atti terroristici in ogni parte del mondo, (ultimo in ordine di tempo, le  stragi a Istanbul e a Giacarta) ma anche dal vivere in città “presidiate” da forze dell’ordine, dislocate in migliaia di posti considerati possibili obiettivi dei terroristi.
La presenza di poliziotti o soldati nelle stazioni delle metropolitane o nelle stazioni ferroviarie e in tanti altri luoghi dà immediatamente un senso di sicurezza, ma allo stesso tempo accresce una certa preoccupazione che soltanto un sereno ragionamento evita di far diventare paura.
Con la preoccupazione si può “convivere”, con la paura - spesso irrazionale - no.
E al riguardo delle paure di atti terroristici, è bene ricordare la reazione di Papa Francesco, che in volo verso l’Africa per l’inizio del Giubileo della misericordia ha detto con una battuta da vero genio della comunicazione - a proposito dei rischi ai quali poteva andare incontro - di aver paura di più delle “zanzare”. Un modo per far riflettere sulla paura ed assegnare ad essa una giusta dimensione.

Leggilo dal sito del Copercom