(7 ottobre 2015) - Con la centralità acquisita dall’area mediterranea, in seguito agli eventi che stanno cambiando gli assetti geopolitici della sponda sud, Agrigento non è più semplicemente una frontiera, un’estrema propaggine d’Europa. Il pensiero va alla prima metà del XIII secolo, quando la Sicilia di Federico II era un centro di raffinata cultura, capace di porsi come incontro di popoli, un crocevia di diversità che sembra la sua vocazione più profonda.
In epoca moderna, la strada maestra per la realizzazione di questa identità passa attraverso le migrazioni, di cui è intrisa la storia dell’isola. Chi può contare i siciliani sparsi nel mondo e i loro discendenti? Un dato recente indica in 143.000 gli agrigentini iscritti all’AIRE, una cifra che, con la libera circolazione in area Schengen, non comprende i pendolari. “Arrivano le barche e partono i bus” diceva tempo fa il Vescovo di Agrigento, il Card. Francesco Montenegro, riferendosi a quell’emorragia silenziosa che è ancora oggi l’emigrazione.
In effetti, ciò che pone la Sicilia al centro dell’attenzione mondiale è l’immigrazione, sono le barche che continuano ad attraversare il Mediterraneo con il loro carico di umanità in fuga dalla morte e dal bisogno, vittime di continue tragedie. Le cifre degli arrivi sono sempre consistenti e la Sicilia se ne fa carico in larga parte. Lampedusa e Porto Empedocle, nella Diocesi agrigentina, sono tra le destinazioni più frequenti.
Nel centro storico di Agrigento, nel quartiere dove la nostra comunità di missionarie secolari scalabriniane è presente ormai da un anno e mezzo, ci sono diverse comunità di richiedenti asilo, in gran parte provenienti dall’Africa subsahariana e, in misura minore, dall’Asia continentale (Pakistan, Bangladesh …), oltre a numerose famiglie, immigrate già da tempo.
Solidarietà e paura costituiscono un binomio solo apparentemente antitetico, che connota l’atteggiamento degli agrigentini verso gli immigrati. L’anima profonda è quella di una solidarietà connaturata alla gente di qui: cuore aperto, capace di generosità e condivisione. La paura invece si è fatta strada di recente, portata dalle cronache delle violenze sull’altra sponda del mare e dai problemi congiunturali e strutturali locali, aggravati dalla crisi economica. E poi la paura dello straniero, che è quella di sempre, a tutte le latitudini.
Di recente, il nostro Vescovo ha chiesto a noi missionarie di assumere il coordinamento dell’Ufficio Migrantes della Diocesi, una struttura che - insieme al Centro Missionario e all’Ufficio per il Dialogo Ecumenico e Interreligioso - costituisce il Centro per la Missione: un compito impegnativo, che ci mette su strada, in ricerca.
La nostra vocazione missionaria secolare scalabriniana ci porta spesso all’incrocio di strade che sembrano opposte, per condividere e camminare insieme, cercando le vie nuove che proprio nella difficoltà si possono aprire, se ci lasciamo guidare dalla fede nel Risorto. Per questo abbiamo scelto di muovere i primi passi nella conoscenza e nell’incontro con le famiglie straniere ed agrigentine, con i giovani immigrati e locali, con i ragazzi delle scuole, dove sono iniziati incontri di sensibilizzazione: per camminare insieme come Chiesa di Pentecoste, perché il futuro potrà solo essere insieme.
(Mariella Guidotti - Migrantes Agrigento)