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Il processo di nullità   versione testuale






La normativa codiciale (cann. 1400-1656 e specialmente cann. 1671-1691) e l’istruzione del Pontificio Consiglio per i Testi legislativi Dignitas connubii (del 2005) presentano il quadro normativo essenziale di riferimento.
Preliminare al processo si pone la consulenza iniziale. Generalmente è compiuta dal patrono stabile o da un avvocato rotale o iscritto nell’albo del Tribunale. Tale consulenza ha lo scopo di verificare la sussistenza o meno di una possibile nullità del matrimonio, l’individuazione degli eventuali capi di nullità, il foro competente (cf can. 1673; DC artt. 8-21), l’eventuale aiuto per la preparazione del libello e dei documenti da allegare al medesimo.
Le fasi principali del processo – il cui iter in parte è precisato anche dal regolamento di ogni singolo Tribunale Ecclesiastico Regionale – si possono così riassumere:
 
1) La fase introduttoria, con:

a. L’individuazione del Tribunale competente a trattare la causa di nullità, di norma quello del luogo della celebrazione del matrimonio o del domicilio della parte convenuta; eventualmente anche quello del domicilio della parte attrice o del luogo in cui si trovano la maggior parte delle prove (cf can. 1673, DC art. 10 § 1);

b. La presentazione del libello da parte di uno dei coniugi, che è “attore”, o anche di entrambi qualora intendessero avanzare insieme la richiesta di nullità; il libello è fondamentale anzitutto perché «il giudice non può prendere in esame alcuna causa se non gli venga presentata domanda da parte di chi [...] ha il diritto di impugnare il matrimonio» (DC art. 114; cf can. 1501); in secondo luogo perché esso tra l’altro deve contenere, «anche se non necessariamente con parole tecnicamente precise, la ragione della domanda e cioè il capo o i capi di nullità per i quali il matrimonio è impugnato» (DC art. 116 § 1, 2), indicando «almeno sommariamente si quali/atti e su quali mezzi di prova l’attore si basa per dimostrare ciò che si asserisce» (DC art. 116 § 1, 3°; cf can. 1504 2°).

c. La costituzione del Tribunale, cioè del collegio giudicante, oltre che la designazione del difensore del vincolo (DC art. 118);

d. La citazione dell’altro coniuge, parte “convenuta”, con la quale l’istanza comincia ad essere pendente (DC art. 129).

e. La “concordanza del dubbio”, cioè la determinazione e la fissazione (peraltro modificabile nel corso del processo: cf can. 1513 § 3 e DC art. 136) dei motivi giuridici per i quali si domanda la nullità e sui quali quindi si dovrà indagare. La formula del dubbio, infatti, «determina la materia che deve essere oggetto dell’indagine» (DC art. 160); la sentenza dovrà rispondere a tali capi.
 
2) La fase istruttoria, con la raccolta, sotto la guida del giudice, delle prove. Esse possono essere «di qualsiasi genere, sempre che esse appaiano utili per la decisione della causa e siano lecite» (DC art. 157 § 1), proposte dalle parti, private e pubblica, o anche cercate e acquisite d’ufficio dal giudice: deposizione delle parti e dei testi e relativa acquisizione di “testimoniali”; eventuale documentazione; eventuali perizie di parte e/o d’ufficio; presunzioni;
 
3) La fase discussoria:
a. La pubblicazione degli atti (cf can. 1598, § 1; DC art. 229 § 1), tramite un decreto del giudice: alle parti, ai loro avvocati e al difensore del vincolo è data facoltà di prendere visione degli atti, con un effettivo esercizio del diritto di difesa. Si possono eventualmente avanzare ulteriori richieste istruttorie, che saranno valutate dal giudice (DC art. 236);

b. La “conclusione in causa”, quando si ritiene che la causa sia stata sufficientemente istruita, a seguito della quale le parti, generalmente tramite gli avvocati, espongono per iscritto, con facoltà di replica, le proprie argomentazioni a favore o contro la dichiarazione di nullità (DC artt. 243-245);
 
4) La fase decisoria, con la riunione del collegio dei tre giudici, i quali possono dichiarare la nullità del matrimonio solo se hanno raggiunto, almeno a maggioranza, la certezza morale della stessa, ossia quando «resti del tutto escluso qualsiasi dubbio prudente positivo di errore, tanto in diritto quanto in fatto, ancorché non sia esclusa la mera possibilità del contrario» (DC art. 247 § 2). La sentenza, debitamente motivata in diritto e in fatto, deve essere redatta entro un mese. È possibile che il Tribunale decida di apporre alla/e parte/i un divieto a passare a nuove nozze senza previa consultazione dell’Ordinario del luogo e/o del Tribunale che ha emesso la sentenza (cfr. DC art. 251), se vi siano fondate ragioni di ritenere che possa sussistere o ripresentarsi la situazione che ha determinato la nullità del matrimonio.
 
5) La prima sentenza a favore della nullità del matrimonio deve ottenere conferma da parte del Tribunale di secondo grado, al quale quindi la sentenza e gli atti di causa vengono trasmessi d’ufficio. Tale conferma può aver luogo (cf can. 1682 § 2) al termine di un particolare procedimento abbreviato; diversamente, la causa viene rinviata all’esame ordinario, durante il quale, solitamente, vengono acquisite nuove prove e al termine del quale il collegio giudicante emette la sentenza. Le cause giungono senz’altro al Tribunale Apostolico della Rota Romana in terzo grado, qualora ci siano state due sentenze difformi, una pro nullitate, cioè affermativa, e l’altra pro vinculo, cioè negativa. Va anche detto che la Rota Romana è Tribunale d’appello ordinario per tutti i fedeli che da qualsiasi parte del mondo volessero far trattare la loro causa in secondo grado da quel Tribunale apostolico (cfr. can. 1444 § 1; DC art. 27). Se il Tribunale di primo grado ha emesso sentenza negativa (non consta della nullità del matrimonio), la parte che si sente gravata può interporre appello (can, 1628; DC art. 279).