(10 giugno 2015) - Lampedusa è l’ultima isola di un’isola. È quindi isola due volte, estrema propaggine meridionale del nostro essere Italia e soprattutto del nostro essere Sicilia. Tutte le caratteristiche del nostro popolo i lampedusani le hanno conservate più a lungo. Come le lingue parlate dai dominatori resistono più intatte ai confini estremi degli imperi, così il nostro essere siciliani ha preservato qui la sua integrità originaria.
E nel momento della prova questo popolo ha tirato fuori il meglio: l’ospitalità sacra dei progenitori greci, la munifica generosità degli arabi, il pratico ingegno degli svevi.
La capacità di accogliere, il dono di soccorrere: la legge non scritta della gente di mare in ogni parte del mondo, e qui più che altrove.
Uno dei più grandi scrittori del nostro secolo, Gesualdo Bufalino, nato nella stessa provincia cui appartiene Lampedusa, ha coniato il termine “isolitudine” per descrivere le caratteristiche del nostro popolo. L’appartenere ad un’isola, il nascerci, il crescerci, ti forgia in maniera diversa.
L’isola “isola”. L’isola ti fa consapevole di quella solitudine che costruisce e non distrugge. Quella solitudine che ti proietta in te stesso, che ti fa compiere il viaggio meraviglioso della conoscenza del “sé”… e quindi poi ti apre al mondo, all’altro. La solitudine del deserto dei quaranta giorni, che ti tempra e ti prepara ad affrontare la vita e le sue prove.
Lampedusa è la terra estrema. Ha già la luce, i colori, il cielo dell’Africa. Ha baie silenziose che si fanno strada nella costa come grossi tagli, con l’acqua calma dai colori incredibili. Il vento che porta incessantemente profumi sconosciuti. La notte con miliardi di stelle alle quali non avremo mai tempo di dare un nome.
Tutto è preludio alla gloria e al dramma. Tutto è figura del nostro essere Sicilia. Dei nostri difetti e delle nostre virtù. Siamo per natura diffidenti eppure capaci come pochi, nel momento della prova, di slanci di generosità quasi eroici. In questo mondo che non ha più eroi e che non ne ha mai avuto così tanto bisogno, questo piccolo scoglio, questa zattera in mezzo al Mediterraneo che l’amico Giacomo di “Askavusa” chiama “un mare d’amore”, ha mostrato al mondo lo slancio sincero della solidarietà, della generosità.
Nella “globalizzazione dell’indifferenza” tutta un’umanità sofferente passa per quest’isola. A volte per un solo giorno, a volte per settimane. È una tappa comunque obbligata, in attesa dello “smistamento”. Oggi gli uomini si smistano come una volta solo le merci o i pacchi.
E sotto questo cielo d’Africa, sopra questo mare incredibile, in mezzo a questo vento profumato, si sommano ogni giorno storie, vite, speranze. In questo flusso continuo, cadenzato, di persone che devono migrare, anche fuori stagione. Stormi senza punti di riferimento, senza rotte certe, senza approdi sicuri.
Migranti. Ma come dice Papa Francesco, tutti noi, in fondo, siamo migranti. “Nessuno può dire di avere fissa dimora su questa terra”. Anche il nostro alla fine è solo un passaggio. Dovremmo ricordarlo sempre e sperare che le impronte del nostro passare siano, nella polvere, lievi.
(Lorella Cappello - Migrantes Messina)