Articolo di Maria Veronica Policardi - referente Ai.Bi. di Lampedusa
(8 giugno 2015) - La notte del 17 aprile scorso a Lampedusa abbiamo assistito a uno sbarco diverso da tutti gli altri, di cui senza indugio quella volta proprio in questo blog si è raccontato. Man mano che la motovedetta faceva il suo ingresso in porto erano, infatti, sempre più evidenti i segni che avesse qualcosa di particolare, principalmente agli occhi di chi si era assuefatto a questi eventi ormai quotidiani. A poppa, distesi e avvolti nelle coperte termiche, inermi, vi erano decine di corpi soprattutto di giovani donne. Solo una volta attraccata, si è capito che si trattava di persone ustionate e non, come spesso accade, per il carburante che anche per via dell’acqua salata lacera i corpi, ma per un’esplosione avvenuta giorni prima in Libia. Bendati in malo modo, in diciassette, con grande difficoltà, sono adagiati con attenzione sulle poche barelle a disposizione. Agli occhi attenti dei medici è chiaro che per l’entità delle ustioni fra questi solo in pochi sarebbero rimasti a Lampedusa, poiché i casi più gravi necessariamente dovevano essere trasferiti d’urgenza. Invece, a prua, sempre avvolto in uno di quei teli dorati, un corpo rimaneva fermo, immobile, era quello di una ragazza morta durante la lunga traversata proprio a causa di quell’inferno patito sulla pelle. Con cura e delicatezza, quella che sicuramente non l’era stata riservata ancora da ferita in Libia, è messa in una bara e portata via … di lei non si sa più nulla. Negli ultimi anni le salme dei migranti sono trasferite fuori dall’isola per trovare posto in uno dei cimiteri siciliani … per lei si pensa riservato lo stesso destino. Il tempo passa e purtroppo anche altri non riescono a vincere la lotta contro il fuoco e sono loro a spegnersi lentamente, mentre quasi ci si dimentica di quella giovane donna. Ma il fratello non può farlo e la cerca in tutti i modi, vuole trovare pace e consolazione sapendo almeno dov’è sepolta e così domanda aiuto a chi più volte si è messo a disposizione che, tra una ricerca e l’altra, la scopre stranamente seppellita a Lampedusa, chiede conferma agli uffici dell’anagrafe, rintraccia la signora che aveva offerto il loculo e assieme a degli amici “speciali” arrivati da Messina, qualche giorno fa decide di andare al cimitero per dare l’ultimo vero saluto, per fare la prima vera preghiera. La tomba chiusa con un po’ di cemento non ha nessuna indicazione, nemmeno una croce, ma il gruppo si sofferma lì davanti, sa che dentro c’è Sarah, qualcuno ne ha visto anche il viso quando era a terra sulla banchina del molo, qualcun altro conosce un po’ della sua storia. Così, nonostante la forte commozione registra un video, nonostante le lacrime fa delle foto, col tempo prepara una targa col suo nome, tutto ciò per poterlo mostrare al fratello e fargli vedere che qualcuno per la sua “sorellina” ha pianto, acceso una candela, cantato una preghiera. Sicuramente qualche lampedusano quando andrà a fare visita ai propri cari defunti lascerà anche lì un fiore, ma chi quella mattina era presente, quella tomba l’ha avuta in affido e ne avrà per sempre cura. A poca distanza anche altri che hanno perso la vita in mare, la maggior parte senza un nome ma solo la data del ritrovamento. Per Chi ci sorveglia dall’alto questo non interessa, per Lui siamo tutti uguali, poco importa chi siamo stati in vita, cosa abbiamo fatto, la nostra nazionalità e come siamo morti, per Lui siamo tutti figli da accogliere ma forse proprio in base a questo il Suo abbraccio sarà più o meno accogliente. Una cosa è certa, Sarah dall’inferno della Libia ne è uscita sconfitta ma adesso è vittoriosa fra gli angeli del Paradiso.
(Maria Veronica Policardi - referente Ai.Bi. di Lampedusa)