(13 aprile 2015) - Dare una giusta sepoltura ai 15 migranti giunti morti lo scorso anno a Palermo. È la richiesta avanzata con forza da un cartello di associazioni palermitane, tra le quali anche la Caritas diocesana.
In occasione dei soccorsi prestati dalla Marina Militare Italiana lo scorso 15 giugno, il porto del capoluogo si presentò con una distesa di bare incolonnate sul molo commerciale, pronte ad accogliere i corpi di quanti non ce l’avevano fatta a raggiungere il sospirato approdo di salvezza e coronare così il loro sogno di libertà.
Anche con la morte, però, queste vite spezzate dalla fame e dalle guerre non hanno trovato piena pace, contrastate da una burocrazia che ne ha prima rallentato la tumulazione e poi le ha lasciate nel totale anonimato. Ecco perché ora, a quasi dieci mesi di distanza dal loro arrivo sul suolo italiano, la società civile e le organizzazioni di ispirazione cristiana, impegnate sul fronte dell’accoglienza e dell’integrazione, premono le istituzioni affinché riconoscano una presenza identificativa dei morti in mare.
“Questa realtà di morte ha evidenziato, oltre alle difficoltà nel dare una vera accoglienza, anche la negligenza istituzionale nel dare una sepoltura degna – scrivono le associazioni –. È quanto avviene al cimitero Rotoli di Palermo, dove le fosse in cui sono stati inumati i 15 migranti sono nell’abbandono più totale, senza nessun segno che consenta di riconoscere la presenza di sepolture. Sappiamo molto bene che non è facile il riconoscimento dei corpi dei migranti morti in mare, per la mancanza di indizi sufficienti – si legge ancora nel documento – ma l'abbandono totale nel quale versano le fosse dove queste persone sono state inumate è il segno tangibile di un degrado umano e sociale che va oltre ogni limite di civiltà”.
Al documento, ora sul tavolo del Comune di Palermo, hanno aderito, oltre alla Caritas diocesana, anche i Laici comboniani di Palermo, la Comunità dei valdesi, l’Osservatorio contro le discriminazioni razziali “Noureddine Adnane”, Borderline Sicilia onlus, Forum antirazzista Palermo, Emergency, Idea Rom, La danza delle ombre, l’associazione Santa Chiara, Cobas antirazzista e il Coordinamento antitratta.
Già dopo il loro arrivo le salme finirono nel tritacarne delle procedure burocratiche, ferme per mesi nelle celle frigorifere del camposanto comunale o nelle bare di compensato scoppiate per il caldo, in attesa di essere tumulate. Lo scorso 2 novembre le associazioni firmatarie del documento si diedero appuntamento al cimitero dei Rotoli per commemorare le vittime del naufragio. In quell’occasione assegnarono una targa per ogni salma, indicandone la data di arrivo in Italia. Un modo, questo, per dare dignità ai morti, ma che non è bastata a richiamare l’attenzione delle autorità competenti.
Per questo le associazioni chiedono in particolare “il recupero di qualsiasi informazione utile per identificare i corpi; la determinazione legale della causa della morte; la preparazione del corpo per la sepoltura o cremazione; la dignità del luogo dove i corpi vengono inumati”.
Un appello, poi, viene rivolto a tutta la cittadinanza per “superare la rassegnazione, come primo passo per combattere questo stato di cose”, ma anche per “riaffermare sempre più l’importanza di non perdere il senso della responsabilità fraterna di fronte alla globalizzazione dell’indifferenza”, sulla scorta dell’ormai celebre richiamo fatto da Papa Francesco, in occasione della sua visita a Lampedusa.
Il problema dell’identificazione delle vittime morte durante le traversate della speranza non è nuovo, ovviamente. Già in occasione della strage del 3 ottobre 2013, consumatasi al largo delle coste lampedusane, il comitato nato sull’onda emotiva della tragedia chiese che venissero identificate le salme. A distanza di un anno il Governo comunicò l’avvio delle complesse procedure, ma soltanto per uno sparuto numero di salme si è giunti ad un completo riconoscimento. Nel caso dei migranti che riposano ai Rotoli e di tutti gli altri morti senza nome, il rischio è che il silenzio possa inghiottire ciò che resta del loro passaggio terreno. Questa vicenda, del resto, si innesta in un’emergenza, quella cimiteriale, che a Palermo è aperta dal 2007, senza trovare soluzione. A farne le spese, oltre agli stranieri, sono anche quelle persone più povere e sole, la cui causa non può essere perorata da nessuno. Pertanto, l’appello del cartello di associazioni mira a dare visibilità al fenomeno nel quale “emerge tutta la violenza di un processo che riesce a negare l’esistenza degli ‘altri’ anche in seguito alla loro morte, ultima tappa della vita”.
(Luca Insalaco - Palermo)