(17 marzo 2015) - Uniti per la solidarietà. La parrocchia “San Gerlando” di Lampedusa, le associazioni e le organizzazioni di volontariato impegnate, a vario titolo, nell’accoglienza tentano di unire le forze per meglio coordinare gli interventi a favore degli stranieri che arrivano sull’isola. Parrocchiani e volontari stanno lavorando alla costituzione di un forum della solidarietà, in grado di interloquire con le istituzioni e con le forze dell’ordine, anche nell’erogazione di servizi e nella distribuzione di beni di prima necessità. L’intenzione dei promotori dell’iniziativa è la creazione di un soggetto che possa dare risposta alla domanda di assistenza che, specie nei periodi di maggiore presenza di profughi, si fa particolarmente pressante e impegnativa.
Nei primi mesi del 2015, infatti, Lampedusa, è parsa di nuovo in trincea. La fine di Mare Nostrum, operazione umanitaria promossa dal Governo italiano all’indomani dell’ecatombe del 2013, ha lasciato le operazioni di soccorso nel Canale di Sicilia sulle gracili spalle delle motovedette che fanno base sulla più grande delle isole Pelagie. Un impegno proibitivo, se si considera l’ampiezza del tratto di mare da coprire e se si prevedono le condizioni del mare in tempesta. Lo avevamo scritto su queste pagine già lo scorso ottobre, preventivando che, con l’ingresso di Triton, l’isola porta d’Europa sarebbe tornata a occupare una posizione di rilievo nelle operazioni di salvataggio delle imbarcazioni in difficoltà nel Canale di Sicilia. Se c’è un barcone che chiede aiuto in acque internazionali o a ridosso delle coste africane, le motovedette italiane tolgono gli ormeggi e corrono in soccorso, anche con mare forza 8, spingendosi, quindi, ben oltre il limite delle trenta miglia entro le quali le unità navali del piano europeo sono autorizzate a intervenire. La differenza, tuttavia, la fa il peso delle imbarcazioni. Mare Nostrum, a pieno regime, impegnava le navi della Marina Militare, attrezzate per coprire lunghe distanze e dare ristoro ai migranti stremati. Le unità navali che oggi salpano sotto le insegne di Triton sono, invece, le motovedette della Guardia Costiera, certamente non pensate per accogliere per lunghi tragitti persone in precarie condizioni salute e, per di più, sottoposte alle temperature rigide della traversata. Il risultato si è visto in occasione dell’ultima strage, già dimenticata, al largo delle coste libiche, con i migranti bagnati e stremati dal viaggio, morti per assideramento sulla via che avrebbe dovuto condurli in salvo. Una tragedia annunciata, insomma, che ha fatto ripiombare l’isola e i suoi abitanti nell’incubo del 3 ottobre, con i sacchi mortuari ancora una volta distesi sul molo Favarolo e la sequela di vuote dichiarazioni di cordoglio di chi alle parole dovrebbe fare seguire i fatti.
(Luca Insalaco - Lampedusa)