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A scuola per imparare il linguaggio dell’inclusione   versione testuale
Articolo di Luca Insalaco - Palermo

(9 dicembre 2014) - Per chi è arrivato da poco tempo nel nostro Paese, imparare l’italiano diventa di fondamentale importanza per districarsi nella vita di tutti i giorni. Se poi ai corsi di lingua si associano anche quelli professionalizzanti, si può dire di avere le carte in regola per un lavoro, l’elemento senza il quale nessun cammino di inclusione può dirsi riuscito. Va in tale direzione il progetto “I saperi per l’inclusione”, cofinanziato dal Fondo Europeo per l’integrazione di cittadini di paesi terzi e dal Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione del Ministero dell’Interno e condotto dalla Scuola di Lingua Italiana per stranieri dell’Università di Palermo. L’iniziativa dell’Ateneo del capoluogo è riservata a cento donne provenienti da paesi non comunitari, con particolare riguardo alle vittime di tratta,  ed è promossa dal Dipartimento di Scienze Umanistiche, capofila del progetto, in partenariato con alcune associazioni (Pellegrino della Terra, La casa di tutte le genti, Incontrosenso e Kappaelle Comunicazione & Eventi, Le Balate), in collaborazione con il Comune di Palermo (Assessorato alla Scuola e Assessorato alla Cittadinanza sociale) e con gli Istituti comprensivi statali Perez-Madre Teresa di Calcutta e La Masa-Federico II.
I corsi, tutti gratuiti per i partecipanti, sono in parte iniziati lo scorso 13 ottobre e si concluderanno il prossimo 30 giugno. Sono diverse le materie trattate: oltre ai corsi di lingua italiana per tutti i livelli (tre dei sei corsi sono già attivi, mentre per gli altri ci si può ancora iscrivere), sono in programma lezioni di educazione civica e di preparazione alla certificazione Cils, un laboratorio di taglio e cucito (i prodotti realizzati saranno venduti online) ed uno destinato a chi vuole imparare a gestire strutture di accoglienza. Alle corsiste verrà rilasciato un certificato di frequenza, mentre per i laboratori è prevista l’erogazione di un’indennità di frequenza.
Chi sono le donne che partecipano a questi scorsi? “La composizione è abbastanza variegata – spiega Rosaria Modica, del coordinamento tecnico del progetto – provengono perlopiù da Nigeria, Tunisia, Ghana, Marocco, Bangladesh, India e sono tutte che donne che lavorano o comunque hanno figli e mariti. Ecco perché, nell’organizzare il calendario delle lezioni, abbiamo cercato di andare incontro alle loro esigenze, per esempio offrendo un servizio di baby-sitting per chi ha bambini piccoli e non avrebbe saputo a chi affidarli. I corsi sono impegnativi, ma la forte motivazione di queste donne consente loro di partecipare attivamente, superando mille difficoltà”.
Teatro del progetto è la Scuola di lingua italiana per stranieri dell’Ateneo palermitano, che si è distinta per l’accoglienza ai minori stranieri non accompagnati (sono 150 i ragazzi formati nell’ultimo biennio di attività) e ora punta ai richiedenti asilo e rifugiati inseriti nel sistema SPRAR, in virtù di un accordo siglato recentemente con il Comune di Palermo.
“Molti dei ragazzi che arrivano da soli nei barconi non sono andati a scuola e per loro servono dei corsi speciali – ha spiegato la direttrice della Scuola, Mari D’Agostino, in occasione della presentazione della convenzione con l’ente locale – inoltre, chi vive all’interno del Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo ha spesso pochi contatti con gli italiani e nessuna possibilità di imparare la lingua per immersione. Nelle nostre aule, infatti, entrano rifugiati che, dopo un anno di permanenza in Italia, non conoscono che pochissime parole di italiano. E sono proprio questi soggetti che avrebbero più bisogno di una buona conoscenza della lingua del paese ospitante, per capire gli altri e per farsi capire. L’Università – ha aggiunto la docente – ha scelto di sbracciarsi, facendo di tutto questo un'importante occasione di impegno umano e scientifico, ma occorre anche il sostegno delle altre istituzioni, utilizzare bene le risorse disponibili e fare rete”. In palio per tutti c’è la possibilità di una vita “normale” e qualche chance in più per portare a termine con successo il proprio percorso di inclusione. 
(Luca Insalaco - Palermo)