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Tsegay e Amanuel ora non sono più un numero   versione testuale
Articolo di Margherita Leggio

(21 ottobrte 2014) - Tsegay e Amanuel, 28 anni il primo, 25 anni il secondo, entrambi eritrei, non sono più un numero al cimitero comunale di Castellammare del Golfo. Da qualche giorno, sulla lapide che ricorderà anche alle generazioni future il dramma di un esodo biblico dall’Africa verso le coste italiane c’è il loro nome. Dopo un anno di ricerche, la moglie e la sorella dei due giovani sono riuscite a trovarli, permettendogli di non rimanere anonimi in un paese straniero.
Tsegay e Amanuel sognavano, come tutti i giovani del mondo, una vita serena e ricca di esperienze da tramandare a chi sarebbe venuto dopo di loro. Nel mese di ottobre 2013, non avevano esitato, come fanno ancora oggi tanti africani, a salire su uno dei barconi della speranza che li avrebbe condotti in Italia. Non immaginavano che un destino tragico da lì a breve li attendeva al largo di Lampedusa, dove il 3 ottobre di un anno fa anche loro hanno perduto la vita insieme con altre diverse centinaia di migranti, in una delle peggiori stragi che l’umanità potrà ricordare.
Nel cimitero di Castellammare del Golfo, Tsegay e Amanuel riposano con altri 28 loro sfortunati compagni di viaggio. Nel campo comune del camposanto, lo scorso anno l’amministrazione comunale aveva fatto collocare una scultura in arenaria, donata dall’artista britannico Mike Power.
Nel primo anniversario del naufragio, il sindaco della città del Trapanese, Nicolò Coppola, ha accolto la moglie e la sorella dei due giovani e con loro ha partecipato a una cerimonia di commemorazione durante la quale, dopo avere appreso che Tsegay e Amanuel erano cristiani, vi è stato un momento di preghiera presieduto dal sacerdote Michele Crociata, anche lui impegnato con i migranti per i quali cura una scuola di alfabetizzazione. Intanto, però, il fenomeno della mobilità di persone, in particolare provenienti dall’area sub-sahariana, che si imbarcano lungo le coste del Nord Africa per raggiungere la Sicilia e da lì altre mete europee, non accenna ad arrestarsi e quasi quotidianamente fa registrare sbarchi, alcuni dei quali, ancora troppi, con esiti tragici. Per fortuna si è concluso senza vittime il naufragio della scorsa settimana davanti alla costa dell’isola Marettimo: 55 migranti tunisini, siriani e libici, tra cui anche due donne e cinque bambini al di sotto dei cinque anni, sono stati salvati dagli uomini della Guardia costiera di Trapani.
Nel Trapanese c’è anche un altro volto del fenomeno migratorio. Infatti, gli immigrati che da anni risiedono nel territorio della provincia, o addirittura vi sono nati, partecipano sempre più spesso ad attività che hanno come scopo l’integrazione. Va in tal senso, a Mazara del Vallo, il progetto “Giovani in lab”, finanziato dalla Caritas italiana tramite il fondo Cei 8xmille e attuato dalla Fondazione San Vito onlus, della Diocesi mazarese, nell’ambito del quale da qualche anno ragazzi italiani e tunisini, cattolici e musulmani, insieme, vengono impegnati in attività ludico-ricreative finalizzate alla reciproca conoscenza e alla pacifica convivenza.
Questi giovani sono i protagonisti del primo inno del centro “Voci del Mediterraneo”. Si tratta di un brano inedito il cui testo è stato composto mettendo insieme le frasi pensate dai ragazzi che frequentano il laboratorio musicale realizzato dal progetto in questione. 
(Margherita Leggio)