(7 agosto 2014) - Se non fosse stato per la grande sensibilità e la profonda umanità di coloro che fino all’ultimo giorno, anzi fino all’ultimo respiro gli sono stati accanto, la storia di Samba Jarra, 33 anni, originario del Mali, sarebbe rimasta nell’anonimato come una delle tante che in questi mesi hanno attraversato i deserti e solcato il Mar Mediterraneo fino ad arrivare in Sicilia, nel caso specifico, nel Centro temporaneo di accoglienza “Primo Nebiolo” di Messina, gestito dalla Cooperativa “Senis Hospes”. Nome quest’ultimo dietro cui si nascondono i volti di uomini e donne di buona volontà che hanno finito col rappresentare la seconda famiglia di Jarra e che hanno fatto il possibile affinché il ragazzo potesse ricongiungersi con la moglie, i tre figli i fratelli e la madre, in Mali, per trascorrere lì gli ultimi giorni della sua vita, purtroppo seganata da un male incurabile. Jarra, non ce l’ha fatta: è morto un giorno prima del viaggio che lo avrebbe dovuto riportare in Africa, spezzato da quella odiosa malattia che giorno dopo giorno lo ha privato della forza, dello spirito, ma mai del sorriso. Un sorriso rimasto ben impresso negli occhi dei tanti operatori della struttura di ospitalità, dove Jarra è stato accolto, curato e coccolato come fosse un fratello, un amico, da sempre conosciuto.
E lo confermano chiaramente le poche dichiarazioni rilasciate dal responsabile della struttura d’accoglienza poco dopo la notizia della morte di Jarra, avvenuta nei locali dell’Hospice dell’ospedale Papardo: “Siamo paralizzati, non riusciamo a fare nulla, il vuoto che la morte di questo ragazzo ha lasciato nei nostri cuori sarà difficile da colmare”. Istanti di vita vissuta, in cui l’umanità prende il sopravvento su qualsiasi altra regola o logica di accoglienza, di territorialità e di regole, perché a guardasi negli occhi sono persone le une uguali alle altre, capaci di condividere paure, sogni, desideri, aspettative, in questo caso, purtroppo, scivolate nel vuoto.
Sin dalla prima diagnosi della malattia, avvenuta ad opera del medico del Centro di accoglienza di Messina, Samba Jarra non è mai stato lasciato solo. Bamba Siaka, uno dei mediatori della struttura “Primo Nebiolo”, é stato il suo angelo custode, dedicandosi esclusivamente alla sua assistenza e vegliando su di lui anche tra i corridoi dell’Hospice. Ultima tappa quest’ultima, dopo il trasferimento all’Ismett di Palermo nel tentativo, rivelatosi vano, di poter intervenire chirurgicamente lì dove il male lo aveva colpito. E sempre Bamba avrebbe dovuto accompagnarlo nel suo viaggio di ritorno verso casa, organizzato e reso possibile grazie all’interessamento della dottoressa Concetta Restuccia, dell’associazione Penelope, che ha fatto da tramite con la sede di Roma dell’Oim, in piena sinergia con l’Ufficio Immigrazione della Prefettura. Immancabile anche il contributo dell’Ufficio Migrantes di Messina, per il rimpatrio della salma.
Jarra, così come le migliaia di migranti che ormai ogni giorno salpano dai porti della Libia sui pericolanti barconi che spesso ne diventano tomba, era arrivato in Italia per sfuggire ai pericoli della sua terra e provare a regalare un futuro a quella moglie, quella madre, quei figli che oggi non potranno più aspettarne il ritorno. La malattia, purtroppo, lo ha “seguito”.
Ciò che Samba, riuscendo a tornare in patria, avrebbe potuto raccontare ai suoi cari, non sarebbe stato solo la difficoltà del viaggio e l’atrocità delle sofferenze subite, ma anche l’amore, l’affetto e il calore di persone a cui la sua vita non è stata indifferente. Non è stata considerata, come quasi sempre avviene, solo un numero. (Elena De Pasquale - Migrantes Messina)