(9 luglio 2014) - Quasi mille persone in un solo giorno. È questo il bilancio degli arrivi nella giornata di ieri a Lampedusa. All’alba l’Isola si sveglia con 354 persone sul molo Favarolo, tutti di origine sub-sahariana, arrivati direttamente in porto a bordo di un peschereccio. Passano un paio di ore e si registra un secondo arrivo, stavolta di circa 250 persone, condotte in salvo da due motovedette della Guardia Costiera e della Guardia di Finanza. È un’umanità stanca, prostrata dal viaggio, quella che si presenta ai militari dell’Esercito ed ai volontari presenti sul molo. Dopo il trasbordo cercano uno straccio di ombra, difficile da trovare sul molo. C’è una tettoia in legno, ma è troppo piccola per contenere quest’esercito di scampati alla furia delle armi e all’oscurità del mare. Qualcuno si accascia, allora, sotto un masso frangiflutti. Le donne si sdraiano sotto un’ambulanza, in preda ai dolori. La chiesa agrigentina si sbraccia, offre il conforto della propria presenza operosa.
C’è Mons. Francesco Montenegro, arcivescovo di Agrigento e presidente della Fondazione Migrantes, in questi giorni sull’Isola per partecipare alle iniziative per ricordare la visita di Papa Francesco. «È una storia che continua, eppure ogni volta sembra la prima volta – dice Padre Montenegro –. Nella capacità di assistere e nel trovarsi davanti a donne e uomini che chiedono cose elementari, che con fatica riusciamo a dargli. Dovremmo essere rodati, invece ci ritroviamo sempre a ripartire da zero». C’è il parroco dell’Isola, Don Mimmo Zambito, instancabile “atleta” di accoglienza e di fraternità evangelica. Ci sono gli operatori del presidio Caritas-Migrantes, inaugurato lo scorso mese di febbraio. C’è anche Suor Paola, della Congregazione di Don Vincenzo Marinello, dallo scorso 22 febbraio presente sulla più grande delle Isole Pelagie con una piccola comunità di suore. «Quando vedi queste scene in televisione provi pena – spiega la religiosa –, ma quando sei in mezzo a loro, vedi solo persone bisognose che si appellano alla tua umanità.
Ti accorgi che hanno bisogno di tutto, di uno sguardo, di attenzione, di una cura attenta ai bisogni di ciascuno. Ti rendi conto che non puoi trattarli come una massa di persone che deve essere trasportata da un posto ad un altro». Ai bambini, la parte più fragile e vulnerabile di questo popolo sofferente, vengono regalate caramelle e palloncini. I loro volti, allora, si illuminano e per un attimo svanisce il dramma della fuga e si accende la speranza di un destino colorato, come i palloncini con cui ora giocano. Dopo quattro ore e una sfilza di telefonate iniziano i lenti trasferimenti verso il Centro di primo soccorso e di accoglienza (Cpsa), riaperto in via eccezionale per consentire un riparo minimo ai migranti. C’è solo un pullman per il trasporto, è quello malandato della cooperativa Lampedusa Accoglienza, ancora operativa nonostante il gran vociare fatto dal Ministro Alfano all’indomani delle famigerate docce “anti-scabbia”. Le operazioni di trasferimento durano un tempo infinito, un’eternità per i corpi stremati dal viaggio.
Nel pomeriggio arrivano altre 300 persone circa. La Chiesa agrigentina assiste e si fa prossima nei confronti degli ultimi. Era l’otto luglio 2013 quando Papa Francesco, da quest’isola, ricordava a tutti il dovere di custodire il fratello. No, non è una sventura il compito che la storia ha assegnato a questa terra. Lo ricorda anche il vescovo di Mazara del Vallo, Mons. Domenico Mogavero, celebrando una messa in ricordo dei migranti morti in mare: «Quest’Isola – chiarisce – è benedetta proprio per il ruolo di accoglienza che ha. Gesù, che si lascia toccare il mantello, si fa prossimo con tutti. Si china sulle fragilità di ciascuno, le ascolta e le accoglie. È un privilegio, quindi, potere essere donatori della tenerezza di Dio, dispensatori del suo sguardo e del suo cuore». Intanto, i primi ponti aerei iniziano a decongestionare il centro di contrada Imbriacola.
A mezzanotte decine di persone dormono al freddo sul molo Favarolo. Con il vento che sferza la banchina fanno fatica a tenere strette al corpo le coperte termiche fornite dall’Esercito, l’unico riparo contro i rigori della notte. Aspettano di essere portate anche loro nella struttura di contrada Imbriacola e da qui – si spera – condotte dove potranno essere ospitate in condizioni più dignitose. Nello sparluccichio delle coperte, vedi anche diversi bambini, per terra, ad inventarsi giochi e suggerire sorrisi. Se fossero figli nostri, permetteremmo tutto questo?
(Luca Insalaco - Lampedusa)