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Il Mal d'Africa di Hafiz poeta pittore   versione testuale
Articolo di Vincenzo La Monica - Migrantes Ragusa

(27 giugno 2014) - Hafiz Abdurhman è uno dei  14.008 stranieri sbarcati in Sicilia nel 2003. Arriva a Pozzallo, poco più che trentenne dopo essere fuggito dal Darfur, in Sudan, e aver sostato in Libia per guadagnare i soldi necessari per la traversata verso l’Europa. Agli operatori che lo accolgono dopo i primi concitati momenti di emergenza, Hafiz chiede delle tele, un pennello e dei colori. Perché Hafiz in Sudan studiava all’accademia d’arte, dipingeva quadri e adesso che è arrivato in Italia non ha alcuna intenzione di abbandonare il suo percorso artistico. Certo l’impatto con il nostro paese non è semplice. C’è una nuova lingua da imparare, nuovi stili di vita e, soprattutto, ci sono quasi due anni di attesa prima di vedersi riconosciuto lo status di rifugiato politico. Trascorre questo tempo a Ragusa, presso un progetto di quello che si chiamava Piano Nazionale Asilo (oggi SPRAR) dove si fa apprezzare per sensibilità ed intraprendenza e dove comincia a farsi conoscere tra gli amanti della pittura. Alcuni suoi quadri vengono esposti durante manifestazioni estemporanee fin quando, nel 2007, organizzata da alcuni amici, arriva la prima mostra personale intitolata “Mal d’Africa” con un libretto di presentazione in cui lo scrittore Franco Antonio Belgiorno lo definisce un “poeta pittore”.

La pittura di Hafiz è, infatti, quasi sempre sospesa tra il ricordo ed il sogno. I suoi soggetti sono donne nude distese nel sonno  e panorami d’Africa attraversati da uccelli in volo per chissà quale destino. I colori, stesi con generosità, sono quelli dei tramonti equatoriali o delle notti dalle lune immense su mari in tempesta o su fiumi ai cui bordi sta in agguato la vita vera. Solo poche volte Hafiz si discosta da questi temi. La sua non è una pittura di denuncia, ma di annuncio di una bellezza arcaica e da ritrovare. Solo in un’unica occasione e con la stessa ritrosia con cui parla del suo passato e della sua vita precedente all’arrivo in Italia, il pittore sudanese ha voluto rappresentare su tela la sua visione della migrazione. Il quadro si intitola “Le quattro stagioni dell’immigrazione” e la tela che lo ospita si scheggia in quattro parti asimmetriche.

In un angolo si vede un tramonto d’Africa desolato e bellissimo, poi due scene attraversate da un cactus pungente: il viaggio attraverso il deserto e quello attraverso il mare su una barca abbandonata alle acque. Neanche l’ultima stagione della migrazione è consolatoria. L’arrivo in una città occidentale è uno shock. Gli spazi dove in Africa trionfa la natura, qui sono occupati da palazzi. Una donna africana si appoggia provocante ad un lampione per offrire il proprio corpo a mani fantasma che fuoriescono dai muri. Una figura anonima attraversa la scena carica di sacchi della spesa. È uno sguardo fanciullesco, ma addolorato quello con cui si racconta un destino di tanti migranti sopravvissuti a guerre, carestie, viaggi, lutti e torture e naufragati in occidente, dove c’è ricchezza e abbondanza, ma non spazi di condivisione. E proprio perché il destino di Hafiz è stato tutto sommato diverso da quello denunciato in questa tela, il suo messaggio acquista un valore più profondo: l’unica famiglia umana dovrebbe riconoscersi e guardare tutta verso un unico orizzonte. Magari uno di quelli infuocati da un sole al tramonto che in Africa, come in Sicilia, raccontano della bellezza di essere al mondo.  (Vincenzo La Monica - Migrantes Ragusa)