(10 giugno 2014) - È passato un secolo da quando dal porto di Palermo salpavano bastimenti carichi di emigranti. Il sogno era per tutti “Lamerica”. Oggi da queste banchine transitano gli stessi occhi pieni di speranza, le sacche a racchiudere e conservare i beni più preziosi, i ricordi di una vita, gli stessi sogni di un futuro libero e prospero per i propri figli. Erano tanti i bambini, sabato scorso, a bordo della “Sfinge”, corvetta della Marina Militare. Cinquantadue solo i minori non accompagnati, ai quali bisogna aggiungere i piccoli partiti assieme ai genitori.
No, i numeri non danno il senso della storia che si consuma sotto i nostri taccuini. Certo, le cifre fanno statistica, riempiono i titoli dei giornali e danno corpo ai diagrammi degli studiosi. Sulla “Sfinge” c’è il bambino che sorride all’obiettivo della macchina fotografica, la bambina con le trecce bionde che rilucono al sole, il neonato che piange prima di percorrere la passerella tra le braccia della madre. Chissà che ricordi avranno questi bambini. Della fuga, dei giorni in mare, del soccorso da parte delle donne e degli uomini della Marina Militare. Loro, i militari, fanno un lavoro enorme. Le 367 persone che portano in rada sono il frutto di due salvataggi operati nel Canale di Sicilia. Un gommone di 15 metri e un barcone di 20, il primo con a bordo migranti di origine subsahariana e il secondo composto in prevalenza da siriani. Arrivare fino ad un porto lontano, come il capoluogo dell’Isola, vuol dire impiegare una giornata di navigazione, tra andata e ritorno. Con il rischio che, nel frattempo, si possano verificare delle situazioni di pericolo nel Canale di Sicilia. «Siamo assolutamente veloci nell’individuazione delle imbarcazioni in difficoltà e stiamo svolgendo bene il compito che ci è stato assegnato: salvare vite ed evitare che si ripetano tragedie – chiarisce il capitano di fregata, Pier Luca Salassa – questo grazie ad un dispositivo navale e a procedure ormai collaudate, che ci permettono di controllare un’area vasta di mare. Auspichiamo, tuttavia, la possibilità di sbarcare le persone soccorse nel porto di Lampedusa, in modo da poter ritornare operativi nel più breve tempo possibile».
Per la città di Palermo è il terzo approdo negli ultimi nove mesi. Ad accoglierli, tra gli altri, il sindaco Leoluca Orlando e il cardinale Paolo Romeo. Il motivo della sua presenza al molo lo spiega lo stesso arcivescovo di Palermo: «Non c’è niente di estraneo alla sollecitudine del vescovo – sottolinea – non potevo rimanere lontano da un fenomeno che interpella la città e la società tutta. Sono fratelli che arrivano nel bisogno, la mia presenza è di partecipazione e condivisione». È naturale chiedere al cardinale Romeo in che modo la Chiesa palermitana risponda all’invito di Papa Bergoglio, affinché i profughi vengano accolti in strutture ecclesiastiche dismesse. «Il migliaio di persone ospitate dalla missione di Biagio Conte sono il frutto dell’impegno di tutta la comunità ecclesiale. La Provvidenza, del resto, si serve di persone». E le tante strutture inutilizzate di proprietà della Curia? «Spesso si tratta di strutture non in grado di accogliere. Stiamo lavorando per renderle sicure» assicura il presidente della C.E.Si. È un tema scottante, questo, in una città in cui l’emergenza abitativa è cronica e non trova soluzioni a lungo termine. In città le occupazioni di edifici dismessi sono all’ordine del giorno, come le operazioni di sgombero da parte delle forze dell’ordine. Spesso le famiglie scelgono proprio strutture religiose per accamparsi. L’ultimo in ordine di tempo è stato l’istituto Sacro Cuore, sgomberato appena qualche giorno fa. Si comprende bene, quindi, che l’argomento sia particolarmente delicato.
Per questo approdo, la Chiesa palermitana si è occupata della prima accoglienza, distribuendo cibo, scarpe e vestiti, e si è fatta carico di ospitare 55 dei nuovi arrivati. Trenta donne, alcune delle quali con bambini al seguito, vengono accolte nel Centro di accoglienza straordinaria “San Carlo e Santa Rosalia”, che già ospitava 13 straniere arrivate lo scorso mese. Gli uomini, invece, sono destinati all’Istituto Padre Messina, al Foro Italico. Strutture che non sono sufficienti a contenere il flusso di arrivi. Insieme all’amministrazione comunale, la Curia sta cercando strutture in grado di fornire altri 150 posti». È proprio il tempo, però, a mancare. Il flusso dalle coste nordafricane non pare destinato ad arrestarsi. Trascorrono due giorni, infatti, e sono più di 529 i migranti che scendono dalla motonave “City of Sidon”. Tra questi 19 bambini e 120 donne, due delle quali, in stato di gravidanza, vengono portate in ospedale per accertamenti. Proprio a Sidone, Paolo di Tarso fece scalo, assieme ad altri prigionieri, ricevendo le cure necessarie per riprendere il viaggio. Roma non è lontana, Roma non è lontana.
(Luca Insalaco - Palermo)