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Dalla palestra al campo: a Messina va in scena il “gioco” dell’attesa    versione testuale
Articolo di Elena De Pasquale - Migrantes Messina

(20 maggio 2014) - Lì, dove fino a qualche mese fa si correva, ci si allenava, si disputavano gare di baseball e tornei di basket o si giocava a calcio, lo scenario è decisamente cambiato. È possibile sì osservare tanti ragazzi che camminano, corrono o prendono a calci un pallone, ma nulla di tutto ciò, purtroppo, ha a che fare con il divertimento. Lo fanno solo per riuscire ad ingannare il tempo che li separa dal loro turno: non di gioco, ma di “chiamata” e dunque trasferimento. Il Centro di assistenza straordinaria aperto a Messina lo scorso 9 ottobre, poco dopo la strage consumatasi nei pressi dell’Isola dei Conigli (Lampedusa) e poco prima dell’inizio dell’operazione Mare Nostrum (18 ottobre), che di quella tragedia è stata diretta conseguenza, è infatti stato realizzato nell’impianto sportivo “Primo Nebiolo” di proprietà dell’Università, attrezzato sia con campo da baseball che con palestra coperta. Quest’ultima, utilizzata soprattutto nelle prime settimane di accoglienza, è stata definitivamente chiusa su disposizione della Prefettura lo scorso 7 maggio, a seguito di alcune ispezioni effettuate dall’Azienda Sanitaria locale, che ne hanno evidenziato insuperabili carenze igienico-sanitarie.
 
A rimanere “in piedi”, dunque, solo la tendopoli, della capienza complessiva di 250 posti (otto posti letto per ciascuna tenda), allestita su disposizione del Viminale nel mese di novembre. Il campo, simile ai tanti realizzati in questi mesi in molti altri centri della Sicilia per affrontare un’emergenza che da provvisoria è diventata strutturale, è gestito dal Consorzio d’imprese “Senis Hospes - Sol.Co. - La Cascina Global Service”. Dal giorno dell’apertura ad oggi, secondo i dati di cui è in possesso la Prefettura, sono stati oltre 3000 i migranti che, per un periodo breve o relativamente lungo, vi hanno sostato. Sebbene, infatti, in Centri di questa “natura” il periodo di “sosta” non dovrebbe superare le 72 ore, i problemi organizzativi, legati al sistema complessivo di accoglienza, fanno sì che molti di questi giovani non riescano ad essere trasferiti in Centri di seconda ospitalità. È qui, infatti, che dovrebbero attendere di vedere esaminata, da parte della competente commissione, la loro richiesta per il riconoscimento della protezione internazionale. Basta dunque poco per comprendere come tali strutture e le modalità progettuali, con cui le stesse sono state concepite, finiscano col rendere la permanenza, tanto per i migranti, quanto per gli Enti gestori, per nulla semplice.
 
Eppure, è proprio in situazioni come queste, in cui è possibile trovare una chiara analogia con quanto avvenuto nei “giorni caldi” dell’emergenza-Lampedusa, che si sperimenta il grande miracolo dell’incontro e della comprensione fra mondi che parlano diversi linguaggi e vivono diverse condizioni sociali. L’attesa è il filo conduttore di quell’umanità che si cerca di nascondere, per evitare di vederla, oltre le barriere che delimitano quel mondo da questo, noi da loro. Ogni tentativo di “chiusura”, però, è destinato a rivelarsi vano, perché non potrà certo essere un muro, strutturalmente più o meno spesso, a contenere quel desiderio di vivere e pensare al futuro osservabile negli occhi di coloro che abitano strade e città non “nostre” ma del mondo. E quindi di tutti. Le lancette che scandiscono gli attimi di vita, all’interno dell’impianto “Primo Nebiolo”, seguono un ritmo che va oltre le normali regole del tempo. Che si ferma nel momento in cui, inginocchiati all’interno della moschea, o a mani giunte di fronte alla croce sistemata nella cappella, cristiani e musulmani affidano sé stessi e cercano conforto in chi considerano guida della loro esistenza. (Elena De Pasquale - Migrantes Messina)