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Il Mar Mediterraneo ancora “palcoscenico” di dolore    versione testuale
Articolo di Elena De Pasquale - Migrantes Messina

(13 maggio 2014) - Prima 3 ottobre, ora 12 maggio, domani chissà quale altro sarà il giorno di lutto. “Scivolano” le pagine del calendario e con esse si susseguono i giorni, eppure rimane identica la sensazione di impotenza di fronte alle decine di cadaveri che riaffiorano lentamente a pelo d’acqua. Uno, due, tre, otto, dieci, quattordici. Duecento, invece, resteranno per sempre intrappolati sul fondo di quella “culla” che torna ad essere un cimitero a cielo aperto.
L’ultima tragedia consumatasi ieri pomeriggio a largo delle coste della Libia (400 i migranti a bordo della malandata imbarcazione), la seconda nel giro di poche ore, fa riaffiorare, ancora una volta, i toni esasperati di un dibattito che, senza un intervento realmente incisivo e coeso, rischia di rivelarsi l’ennesimo schiaffo all’aria.
Di fronte alle immagini di rinnovato dolore e di morte, non possono non tornare alle mente le parole pronunciate da Papa Francesco durante la visita a Lampedusa lo scorso 8 luglio: “Immigrati morti in mare, da quelle barche che invece di essere una via di speranza sono state una via di morte, […] il pensiero vi è tornato continuamente come una spina nel cuore che porta sofferenza. E allora ho sentito che dovevo venire qui oggi a pregare, a compiere un gesto di vicinanza, ma anche a risvegliare le coscienze perché ciò che è accaduto non si ripeta. Non si ripeta per favore”. E invece si è ripetuto, è riaccaduto, al punto che quei fotogrammi di morte sono diventati la cronaca di una civiltà non degna di essere definita tale.
Da ottobre ad oggi qualcosa è cambiata, o meglio si è aggiunta: l’operazione “Mare Nostrum”. Gli affondamenti delle ultime ore, come prevedibile, hanno però sollevato dubbi ed interrogativi anche sui reali effetti dell’operazione lanciata dal governo italiano e ha riaperto il dibattito sulla creazione di corridoi umanitari per consentire a quanti scappano da condizioni di pericolo di potersi mettere in salvo.
Tale ipotesi, benché sostenuta da più parti, come evidenzia Oliviero Forti, responsabile immigrazione Caritas, è tutt’altro che semplice, in quanto è necessaria anche la volontà politica: “Non si tratta più di emigrazione, ma di gente che fugge. Visto che neanche Mare Nostrum è sufficiente, c’è da capire quale sia il dispositivo necessario da mettere in atto per salvare la vita a queste persone”.
Posizione similare anche per Giovanni La Manna, responsabile del Centro Astalli, che interviene anche su Mare Nostrum: “Non diciamo che l’operazione vada eliminata” – spiega La Manna – “ma ad oggi stiamo assistendo ancora a persone che muoiono in mare”. Favorevole ai canali umanitari, il direttore del Cir, Cristopher Hein: “Se c’è la volontà politica non è impossibile aprirli”. Di fronte all’ennesima, e certamente non ultima tragedia del mare, è forse il caso che questa volontà, umana prima ancora che politica, venga trovata. (Elena De Pasquale - Migrantes Messina)