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In esilio per legittima difesa   versione testuale
Articolo di Nino Arena – Migrantes Messina

(12 maggio 2014) - Una quarantina domenica nel mare della Libia, 22 poco più di una settimana fa in acque greche, ancora incerto il bilancio dell'ultima tragedia di Lampedusa. Sono gli ultimi caduti sulla via dell'esilio per legittima difesa che scelgono uomini e donne di cui si fa persino fatica a conoscere i nomi. Non fuggono, vanno via col vestito della disperazione, ma nei loro cuori tengono accesa la fiamma della speranza. Perché, poi, non dovrebbero lasciare quella che pure è la loro casa? Perché non dovrebbero cercare un futuro sereno e dignitoso per sé e per i loro cari?
Se il Sud del mondo è in cammino, forse qualcosa o qualcuno è in grado di fermare questo rimescolamento di destini, emozioni, paure... sogni? Non lo faranno né lo hanno fatto gli eserciti, per quanto potenti o spietati. Non lo hanno fatto né lo faranno mari, deserti, approfittatori, montagne, prigioni, muri. La forza della vita è una montagna troppo alta da scalare anche per la morte, che pure è compagna di strada di tanti migranti, secondo l'OIM 350 milioni. Alcuni perdono amici, fratelli, figli e quando approdano in quella che per loro è la Terra promessa, spesso si trovano di fronte incomprensione e indifferenza, talvolta odio.
La loro ricerca viene vista come un'intrusione, le ambizioni vengono trasformate in minaccia, la presenza diventa una colpa. La risposta di un mondo mercificato e globalizzato, incapace di valorizzare le relazioni vitali, finisce talvolta per bandire l’umanità dai propri orizzonti e allora li bolla col termine di “clandestini” per non doversi confrontare e riconoscere con i loro bisogni, non solo quelli immediati. Cibo e vestiti appena sbarcati vanno bene, ma la macchina si inceppa al passo successivo, quando l’accoglienza deve mostrare la propria efficacia depotenziando, attraverso l'organizzazione, i possibili conflitti con le comunità locali.

A guidare pensieri, parole, opere e omissioni non dovrebbe essere la cattiva coscienza, ma il senso di responsabilità insieme con una visione critica della nostra storia di occidentali. Chi,del resto, negherebbe che possa diventare necessario abbandonare la Siria insanguinata da armi “civilizzate”?  Che l’Eritrea sia un orizzonte troppo ristretto per i “suoi” ragazzi, affamata e oppressa com’è da un dittatore in passato comprensivo con interessi a noi vicini?  Che la Nigeria rischi di essere inospitale per comunità e villaggi che rallentino la marcia delle aziende estrattive?
Non possiamo, allora, che accettare come inevitabile questo esodo altrimenti irragionevole. E come cristiani e uomini di buona volontà dobbiamo, inoltre, interrogarci e intervenire sui meccanismi che lo determinano e comunque manifestare concretamente la vicinanza fraterna a questa umanità dolente, umiliata e offesa ma non sconfitta, in cui scorgere il volto del prossimo. (Nino Arena – Migrantes Messina)