Sussidio Quaresima-Pasqua 2014 - Parola - 25 maggio - VI Domenica di Pasqua 
25 maggio - VI Domenica di Pasqua   versione testuale
Manifestare la presenza del Risorto
Il mondo non mi vedrà più
Di nuovo il brano evangelico, tratto dai discorsi di addio, sviluppa il tema del venir meno della presenza di Gesù. Si tratta di spiegare perché avviene il distanziamento e nascondimento e perché nello stesso tempo esso è glorificazione, innalzamento, vittoria. Il primo elemento su cui ci possiamo soffermare è che Gesù resta nascosto per il “mondo”: qui inteso come realtà ostile, che non può “ricevere lo Spirito”, perché “non lo vede e non lo conosce”. Il venir meno della presenza fisica è dunque un sottrarsi all’influsso negativo di chi vuol schiacciare la sua presenza: i nemici di Gesù non potranno più illudersi di manipolarlo, distruggerlo, eliminarlo. Il Risorto si fa presente peraltro attraverso lo Spirito: ma anche l’azione di quest’ultimo è sottratta alle potenze ostili.
 
Voi mi vedrete
Il risorto è peraltro presente nella sua Chiesa, conserva, anzi accresce la sua visibilità per i discepoli: “io vivo, e voi vivrete”. Egli non si manifesta più nella sua accessibilità mondana, confinata ad ambiti relazionali ristretti, ma nella vita che è disponibile per tutti i suoi discepoli, la vita nuova nello Spirito, che “rimane presso di voi e sarà in voi”.
 
La presenza dello Spirito
Il distacco dalla forma percettibile mondanamente di Cristo è motivato anche dal dono dello Spirito: proprio in seguito alla partenza di Gesù esso può coinvolgere i discepoli nella sua azione che illumina e fa permanere nella verità.
 
Nel Padre e in voi
Il punto più profondo del brano è la rivelazione della comunione trinitaria, di cui in qualche modo i discepoli vengono a partecipare: anch’essa è possibile solo se Gesù si distacca nella sua presenza fisica, e viene a potenziare la sua presenza spirituale nei discepoli: “io sono nel Padre mio, e voi in me, e io in voi”.
L’amore trinitario entra così a far parte della vita dei discepoli, che possono così osservare i suoi comandamenti, e sperimentare una presenza più perfetta del Risorto, in attesa della piena manifestazione della sua gloria: “anch’io lo amerò [colui che mi ama] e mi manifesterò a lui”.
 
Guarire e donare lo Spirito
Il brano degli Atti mostra la realizzazione della promessa del Risorto nella sua Chiesa. Ogni discepolo, anche se perseguitato e pellegrino come Filippo, è abilitato a manifestare la presenza del Risorto. Dall’azione di predicazione scaturisce naturalmente l’attenzione ai poveri e ai malati. L’azione di Filippo viene supportata poi dalla comunione di tutta la Chiesa: Pietro e Giovanni completano la sua opera di predicazione e guarigione, con la piena effusione dello Spirito sulla nuova comunità che si è formata. In tal modo la persecuzione che si è scatenata contro la comunità di Gerusalemme si risolve in una crescita complessiva della Chiesa: le forze ostili del mondo non possono ostacolare fino in fondo l’azione del Risorto.
 
Rispondere a chi domanda ragione
Occorre però guardarsi da un atteggiamento di ostilità preconcetta, creando separazioni troppo nette tra chi è nella Chiesa e chi non lo è. Il linguaggio del vangelo, secondo lo stile tipico dell’opera giovannea, procede per nuclei simbolici fondamentali, relazionati e contrapposti tra loro. Da un lato abbiamo l’azione divina (Gesù, lo Spirito, il Padre, coloro che lo amano), dall’altro abbiamo il “mondo”, cifra simbolica di tutti coloro che si oppongono alla “luce”. In un altro passaggio il “mondo” è ciò che è “amato” da Dio, che ha “donato il Figlio” perché “il mondo si salvi”. Una visione globale delle letture mostra che i discepoli del Risorto vivono nella storia del loro tempo e si fanno incontro ad uomini e donne, offrendo la salvezza, gratuitamente, senza discriminazioni, senza pregiudizi. Filippo va in Samaria, terra teoricamente ostile e nemica, la lettera di Pietro invita a “rispondere” “con dolcezza e rispetto”. Esiste indubbiamente una tensione, ma essa si scioglie in un dialogo aperto e rispettoso: da un lato sta chi “domanda ragione della speranza”, dall’altro sta chi risponde “con una retta coscienza”, con la disponibilità a “soffrire operando il bene”. L’accoglienza di Cristo non crea barriere, ma uno spazio intermedio di dialogo e disponibilità; uno spazio che resta aperto anche di fronte al caso estremo della persecuzione, a immagine di Cristo “morto una volta per sempre per i peccati, giusto per gli ingiusti”.